Sel a un passo dal «nuovo Pd»

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Non sarà  il vento della storia che soffia a via dei Frentani – in quella che fu la sala del sindacato romano, nel fu quadrilatero rosso del quartiere San Lorenzo, a due passi dalla fu sede della tipografia dell’Unità  dove negli anni 70 gli universitari, anche non comunisti, si rifugiavano dagli scontri, zona franca dalla mamma-matrigna Pci – ma un refolo un ponentino o comunque qualcosa del genere passa sulla fronte di Vendola quando pronuncia la frase finale della sua relazione all’assemblea del partito, «non proporrò mai un’annessione di Sel al Pd. Mai una fusione a freddo».
Parte così, ufficialmente, la lunga marcia verso l’incontro fra Pd e Sel, convergenze parallele che vengono dal lontano, persino dalla svolta dell’89, all’orizzonte stavolta c’è che si toccano. Achille Occhetto prende la parola e benedice la ‘controsvolta’. Vendola la propone negando il peggio («l’annessione») a un’obiezione che però dal palco nessuno farà . Ma è nell’aria. Se ne parlerà  da qui al congresso di ottobre. Per arrivarci è stato rinnovato il coordinamento, fuori gli eletti e via i doppi incarichi. Se la «mescola» andrà  in porto, Vendola potrebbe fare un passo indietro, magari candidandosi sul fronte europeo perché «la crisi della sinistra e quella dell’Europa sono lo stesso problema, abbiamo la necessità  di costruire l’Europa e la sinistra». Lì, abbandonato il gruppo del Gue, Sel chiederà  di entrare nel Pse. Nulla osta dalla componente verde: «Non chiedetemi di votare sì, ma capisco il discorso e non mi oppongo», dice Grazia Francescato, che dei Verdi europei è stata portavoce. Nel Pse invece il Pd ancora non siede per il veto degli ex popolari.
Nel frattempo Sinistra ecologia e libertà , nata nel 2009 dall’ultima scissione del Prc, discuterà  di come «mescolarsi» al Pd ben oltre l’alleanza Italia bene comune che ha «non vinto» le politiche per aver trasmesso «una speranza fioca per un’alternativa opaca». Una sconfitta, anzi due, quella del Pd e quella di Sel, che consiglia l’uno e l’altra al ripensamento radicale. «Con una battuta ho detto che propongo uno scioglimento del Pd, ora dobbiamo costruire la casa dei progressisti, il partito della sinistra del futuro».
Il leader Pd Bersani, che in una periferia romana rilancia il suo governo, oggi si sarebbe risparmiato l’ennesima polemica interna che le parole di Vendola aprono: gli ex ppi vedono temono il suo rafforzamento a sinistra. Tanto più dopo il «manifesto» di Fabrizio Barca. Del quale Vendola parla come «un interlocutore prezioso» però dissente «dalla nostalgia per il partito novecentesco».
Ma il cammino doveva iniziare, il presidente pugliese non poteva aspettare. Del matrimonio ormai si parla quotidianamente, dopo l’appello del ‘giovane turco’ Matteo Orfini dalle pagine del manifesto per «un Pd nuovo con Sel». Vendola lo fa sostenendo Bersani e ancorandosi al suo destino. Prima nella scelta del nuovo capo dello stato: «Deve essere il garante della Costituzione, non delle nomeklature». Poi in quella del suo governo: «Spero che Bersani si presenti alle camere con una proposta e una squadra per il cambiamento».
La platea applaude. E si capisce: i quadri di Sel provengono per quasi due terzi da Pci, Fgci o Pds, come svela la bella ricerca La spada di Vendola, di Paola Bordandini e non hanno alcuna vocazione minoritaria e testimoniale. Quanto agli ex Prc, in passato fan degli ‘strappi’ bertinottiani (’98 e 2008), alla «mescola» si preparano da tempo. «Dobbiamo immaginare due congressi in parallelo, noi e il Pd, e poi provare a costruire una sintesi con le primarie, in un nuovo soggetto ‘Italia bene comune’», spiega Massimiliano Smeriglio, vicepresidente di Nicola Zingaretti alla regione Lazio, avamposto delle nozze Pd-Sel. E se a ottobre si dovesse andare a primarie unitarie, sono in molti a pronunciare un nome anti-Renzi che piace molto anche al Pd: quello della presidente della camera Laura Boldrini, la prova provata che Sel può pesare anche più del suo 3 per cento.
Più delicato il discorso per gli ex Sd, la Sinistra democratica uscita nel 2007 dai Ds che Fassino consegnava al Pd nascente. Titti Di Salvo, sindacalista e senatrice: «Non torniamo indietro rispetto a quella decisione, è il Pd che cambia strada. Il Pd liquido, quello dell’equidistanza fra impresa e lavoratori in cui non siamo voluti entrare non c’è più ». Carlo Leoni, già  dirigente Ds: «Non entriamo nel Pd, entriamo nel partito del futuro, non siamo usciti perché volevamo fare un partitino del 3 per cento ma perché era in corso uno slittamento moderato». Cecilia D’Elia, ex assessora alla provincia di Roma: «Dobbiamo stare dentro la discussione della sinistra, il popolo è uno, le primarie lo dimostrano». Ma invece Fulvia Bandoli: «In Italia manca una sinistra radicata e popolare, ma se ci lanciamo su questa strada prima del chiarimento interno al Pd rischiamo di essere fagocitati. Di quale Pd parliamo? Quello di Barca o quello di Renzi?». E Fabio Mussi, che all’ultimo congresso Ds aveva pronunciato a nome di tutti quel «noi ci fermiamo qui», oggi raccomanda a Nichi «molta prudenza». Perché «è vero che il Pd è fallito e il bipartitismo evaporato con la vocazione maggioritaria. È vero che Bersani ha rotto con una tradizione storica guardando al Movimento 5 Stelle anziché alla consueta strada del dialogo con Berlusconi. Ma qualcuno si sente di escludere che alla fine il Pd non farà  il governissimo? Io no».
Sel dice no al governissimo, no al governo del presidente, per ora no al voto anticipato. Sì solo al governo Bersani. Che però ha un filo di possibilità  di successo. Che ne sarebbe di un Pd che fa le larghe intese, e di tutta l’ambizione della sinistra «larga e popolare»? Altro che mescola: salterebbe anche l’alleanza, per non dire di quello che potrebbe accadere nel paese. Per Mussi il Pd è come il gatto dell’esperimento del fisico Schrà¶dinger: lo chiudi in una scatola,con una sostanza radioattiva che abbia pari probabilità  di disintegrarsi o no, quindi di uccidere il gatto o no. «Finché non apri la scatola non sai se il gatto è vivo o morto. Così il Pd: finché non siamo sicuri che dice no al governissimo, non sappiamo se è vivo o morto». E così Sel, così la sinistra. E con loro, un po’ tutta l’Italia. L’Associazione nazionale magistrati boccia le proposte in materia di giustizia presentate dalla commissione di saggi nominata da Napolitano. «Ci sembrano di ispirazione conservatrice – ha detto il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli -. Nel documento presentato, gli esperti non fanno riferimento né alla riforma del falso in bilancio, del voto di scambio, dell’autoriciclaggio, né a norme più incisive» per la lotta alla corruzione e «non vi è un accenno al tema della prescrizione, se non osservazioni di Onida contenute in una nota».


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