by Sergio Segio | 11 Aprile 2013 7:04
Con parole d’ordine come “A riveder le stelle” o “Usciamo dal buio” l’universo simbolico del Movimento 5 Stelle ha a che fare con la “trasparenza” in senso letterale. È “trasparente”, dicono i dizionari della lingua italiana, ciò che può essere attraversato dalla luce. Nelle narrazioni pentastellate Beppe Grillo appare come colui che porta la luce dalla quale farsi attraversare. La relazione, acutamente descritta da Furio Jesi, tra la cultura di destra delle “idee senza parole” teorizzate da Oswald Spengler e il linguaggio irrazionale della pubblicità fa capolino anche nei tormentoni dei 5 Stelle, che spesso hanno a che fare con la capacità di “vederci meglio”, il bisogno di “fare chiarezza”, la necessità di “aprire gli occhi”. Del resto, i due colori del brand del MoVimento, il giallo e il bianco, evocano proprio raggi di sole, immagini di luminosità e – appunto – contesti di assoluta “trasparenza”.
Tra le figure topiche dell’ideologia grillista c’è il fuoco elettronico dello schermo dei nostri monitor che arde di luminosità , un mass media che Grillo e Casaleggio sono riusciti a trasformare da strumento reticolare a Televisione 2.0, raccogliendo al tempo stesso l’eredità culturale di Berlusconi e il consenso degli entusiasti digitali dell’ultim’ora formatisi sulla vetrina esistenziale di Facebook. E poi c’è l’immagine di naturale lucentezza delle acque, nelle quali
il Capo si è immerso per arrivare da un capo all’altro dello Stretto di Messina alla vigilia della campagna d’autunno che ha anticipato lo tsunami delle elezioni politiche.
La retorica della “trasparenza”, con il corollario della visibilità permanente e degli streaming che si accendono e si spengono in base alle convenienze del momento, si rivolge ad una congrega di corpi atomizzati destinati in caso di epurazione a spegnersi velocemente. Grillo parla ad una federazione di soggetti deboli che vive con l’incubo di tornare nell’ombra, uscendo dal cono di luce di cui il Capo è portatore e dalla quale i “trasparenti” si fanno attraversare.
Dunque, la trasparenza nel Movimento 5 Stelle è soprattutto il meccanismo attraverso il quale la base entra in relazione con il suo leader, uomo visibile per eccellenza in quanto personaggio televisivo. La prima infrastruttura in rete del Movimento 5 Stelle era costituita dai nodi degli “Amici di Beppe Grillo”, nuclei locali di fan che trovavano ragion d’essere nella partecipazione agli spettacoli e nella pratica delle campagne del loro beniamino. Vanni Codeluppi ha studiato la “vetrinizzazione del sociale” e descritto i fan come persone che ambiscono ad andare dietro le quinte e che rivendicano di avere un rapporto diretto e trasparente con il personaggio che ammirano.
Il disciplinamento, ha spiegato Michel Foucault, si basa proprio sulla trasparenza, cioè sull’obbligo di dire tutto. Questo imperativo non riguarda il Capo, che da consumato attore saltella tra la vita reale e quella recitata per non essere trasparente ma che ostenta davanti ai suoi seguaci il potere di svelare, cioè di rendere trasparente. Solo tredici mesi fa, ad esempio, nel mezzo del dibattito sulle sorti del Movimento 5 Stelle, Grillo dimostrò il suo controllo capillare pubblicando sul suo sito e organo de facto del partito una conversazione privata tra attivisti colpevoli di esprimere dubbi sulla direzione di marcia. In nome della “trasparenza”, dunque il comico fece sfoggio del suo potere e mise alla berlina la debolezza di semplici attivisti colpevoli di aver promosso di un incontro nazionale del MoVimento. E di avere, appunto, chiesto trasparenza.
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