Scende in campo il partito di Romano

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FUGA da sprint finale, in pieno stile ciclistico, solo quando il traguardo è lì, dietro l’ultima curva. Ci stanno lavorando i (pochi) prodiani presenti in Parlamento, i tanti fuori — capeggiati da Arturo Parisi — ma soprattutto la schiera dei renziani, che farebbe lievitare il «partito del Professore» a 70-80 grandi elettori.
Endorsement per suonare la sveglia al quartier generale Pd. Con l’obiettivo dichiarato di giocare d’anticipo, prima che Bersani e Berlusconi si rivedano (forse martedì) e chiudano un accordo da «abbraccio mortale», a sentire i big sponsor del fondatore dell’Ulivo e magari agire poi da calamita sui Cinque stelle. Grillini che già  nelle loro “Quirinarie” di ieri hanno ufficializzato il nome dell’ex presidente della commissione Ue nella loro top ten. Non a caso, due campanelli d’allarme sono risuonati nelle ultime 24 ore, a sinistra e a destra.
Gli uffici dei capigruppo del Partito democratico di Camera e Senato hanno attivato da ieri la batteria interna, iniziando a contattare ogni singolo parlamentare per sondare gli umori e richiamare con discrezione alla disciplina di partito, alla linea. Che dovrebbe indirizzare tutti «sulla via di una scelta condivisa», come spiega un alto dirigente Pd. Verso «nomi che uniscano e non che dividano e che sono ormai riconducibili a quelli di Amato, Marini e Finocchiaro». Una terna alla quale qualcuno continua ad aggiungere Sergio Mattarella. Alla vigilia delle votazioni del 18 il partito si dovrebbe presentare con una rosa ristretta di nomi, difficilmente uno solo, spiegano, da offrire al Pdl e Scelta civica. Nell’ottica di un’intesa che poi potrebbe facilitare la strada verso la formazione di un governo d’emergenza per le riforme. Il fatto è che gli umori, come le anime interne al Pd, sono variegati e chi si è attaccato al telefono da ieri lo ha potuto riscontrare. I renziani non fanno ormai mistero di aver cassato dalla lista il nome di Marini: per loro restano in partita solo quelli di caratura «internazionale », di Prodi e semmai Amato. Pronti a uscire allo scoperto, come non hanno fatto finora, coloro che più di altri sono vicini al Professore. E che spiegano: «Viviamo con grande malessere la facilità  con la quale dai “giovani turchi” ai popolari nel Pd hanno escluso una figura come quella di Prodi, che vanta un peso istituzionale superiore rispetto a qualsiasi altra». E si elenca: «Due volte premier, presidente della Commissione europea da dove certo non ha fatto guerra al Berlusconi premier, inviato Onu». «Nel partito poi qualcuno dovrà  spiegare perché sia preferibile un accordo al ribasso col Cavaliere — continua il parlamentare e dirigente Pd — magari per dar vita a un governo di tre o sei mesi. Noi non l’accetteremo ». Partita dalla quale si tiene debitamente lontano un Prodi che ancora ieri si dichiarava «disinteressato », scherzandoci su.
Chi non ci scherza affatto su è Silvio Berlusconi, tornato non a caso a sparare a pallettoni da Bari contro il Professore («Pronti ad andare all’estero»). I fedelissimi che lo hanno accompagnato al palco di Piazza della Libertà  raccontano di un Cavaliere assai preoccupato, tornato al più cupo «pessimismo», per nulla rassicurato dall’ennesima chiusura di Bersani. «Non si prospetta nulla di buono — ha confidato — la candidatura di Prodi sta rimontando, il segretario Pd non tiene tutti i suoi e questi sono capaci di eleggerlo coi grillini» è l’allarme lanciato a margine della kermesse che, puntuale, ha preso la piega del comizio elettorale. Con tanto di auto-ricandidatura — la settima — di Berlusconi a Palazzo Chigi. «Il rischio che avvertiamo è che l’elezione del capo dello Stato si stia trasformando in resa dei conti congressuale interna al Pd» per dirla con Mariastella Gelmini. Il timore insomma che Bersani tratti col Cavaliere in rappresentanza solo di una parte dei suoi.
Bruno Tabacci, parlamentare di lungo corso, è pronto a scommettere che alla fine l’accordo si farà , perché «Berlusconi è un realista», ma lo spiraglio è stretto: «O si chiude entro le prime tre votazioni o dalla quarta per lui tutto può succedere. E sarebbe da folli, nella crisi in cui versiamo, se non si scegliesse un presidente in grado di garantire una copertura internazionale, com’è avvenuto con Ciampi e Napolitano ». Un derby che, se si considera fuori gioco ormai Monti, anche Tabacci restringe ormai ai due ex premier: Prodi e Amato.


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