Quell’incontro alla Casa Bianca con il nuovo capo della Cia

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Una presenza che la grazia concessa ieri dal presidente della Repubblica al colonnello Joseph L. Romano, mette in una luce precisa e suggerisce che il delicato dossier sia stato centrale nell’agenda dei colloqui.
Non che i dettagli della decisione siano stati negoziati in quella sede. In realtà , come confermano fonti dell’Amministrazione, le due parti ci avevano lavorato in precedenza per almeno due mesi, in modo da permettere ai leader di mettere il loro suggello proprio durante la visita di congedo di Napolitano alla Casa Bianca.
Era stata, questa la sequenza degli avvenimenti, una lettera personale di Barack Obama al capo dello Stato in gennaio a porre il problema. Il presidente americano ricordava di essersi trovato al suo insediamento di fronte a una pratica, quella delle «rendition», che non condivideva e che aveva abolito sin dal primo giorno del mandato. Ma aggiungeva di avere delle responsabilità  verso chi aveva soltanto servito il Paese e obbedito agli ordini. In particolare, la lettera aveva focalizzato il caso del generale Romano. L’esigenza di chiudere la partita è stata recepita dal Quirinale, che dopo la sentenza definitiva della Cassazione del settembre 2012 era diventato l’ultima istanza in grado di intervenire con l’istituto della grazia.
La soddisfazione americana è evidente. In una nota ufficiale diffusa ieri sera, l’Ambasciata di Roma «ha accolto calorosamente e con favore la decisione del presidente Napolitano e apprezza lo spirito di amicizia tra i due Paesi in cui è avvenuto». Grande apprezzamento esprimono anche le fonti della Casa Bianca, sensibili al fatto che il presidente della Repubblica abbia colto l’importanza di accompagnare con un gesto significativo le svolte impresse da Obama alla politica estera americana, come appare evidente anche dalla nota del Quirinale. È la conferma che in situazioni difficili, gli alleati si tendono la mano.
La decisione di Napolitano chiude una vicenda che ha avuto anche momenti difficili, come emerse nel 2010 durante lo scandalo Wikileaks, quando i cablo riservati pubblicati da Der Spiegel e altre testate europee rivelarono che l’Amministrazione Bush aveva esercitato forti pressioni sull’Italia, per bloccare l’inchiesta sul caso dell’imam egiziano, rapito dalla Cia a Milano nel 2003. Dai documenti risultò in maniera dettagliata che sia l’allora ambasciatore Usa a Roma, Ronald Spogli, che il capo del Pentagono, Robert Gates, avevano agito in profondità , per impedire che la magistratura emettesse i mandati di cattura contro gli 007 statunitensi coinvolti nel sequestro. In un colloquio tra Silvio Berlusconi e Gates del febbraio 2010, l’allora presidente del Consiglio aveva definito la magistratura italiana, soprattutto i pubblici ministeri, «dominata dalla sinistra» e aggiunto che, per fortuna, in appello «le cose torneranno piuttosto in mano nostra».
La grazia al colonnello Romano non chiude la vicenda. Ci sono gli altri 25 agenti americani condannati dalla giustizia italiana. Ma per Washington, quello di ieri è un primo passo importante che fa ben sperare per il futuro.


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