Quelle 36 ore di mediazione «totale» a difendere caselle e a placare i suoi

by Sergio Segio | 28 Aprile 2013 6:52

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ROMA — «Sono molto soddisfatto. Se ho parlato di sobrietà , è perché ho ben presente il momento difficile del Paese e come siamo arrivati a questo governo: più che di festeggiare, questo è il momento di mettersi al lavoro». Enrico Letta ragiona a mente fredda dopo una giornata che sigilla un lavoro certosino, costruito con massicce dosi di diplomazia e di pazienza e cementato dal rapporto privilegiato con il Quirinale. La lunghissima stretta di mani (tutte e quattro) con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sigilla la nascita di un governo che ha stentato a vedere la luce e che, anche per i nomi messi in campo, ha sorpreso molti.
Letta è soddisfatto perché, al netto dei necessari bilanciamenti con i partiti che prendono parte all’esecutivo, è riuscito a portare a casa molti dei risultati che si era prefisso: «C’è stato un ricambio generazionale, come avevo chiesto. E i membri del nuovo governo sono persone che ne faranno parte a pieno titolo e non solo come rappresentanti di parte». Francesco Sanna, uno dei deputati a lui più vicini, lo definisce «un ciclista passista che ha fatto una volata in solitaria per 36 ore e ora può sollevare le mani». E Letta ha davvero lavorato in solitaria, tessendo una rete che ogni momento appariva più complessa e presentava nuovi nodi da sciogliere. Molti i momenti di difficoltà , ma mai di scoramento.
Ora il premier incaricato può rivendicare qualche successo personale. Innanzitutto la presenza femminile, da sempre uno dei suoi punti fermi: «Mai ci sono state tante donne in un governo e con ruoli tanto importanti: agli Affari esteri, alla Giustizia, all’Istruzione». Della squadra di governo Letta è particolarmente contento soprattutto per un paio di nomi, che ha voluto fortemente: la radicale Emma Bonino, agli Esteri, e Enrico Giovannini, al Lavoro e Politiche sociali. Due nomi rivendicati soprattutto per «il grande spessore», ma anche perché sono personalità  non sgradite al Movimento 5 Stelle. Movimento che non fa parte del governo, e che anzi lo osteggia, ma nei confronti del quale Letta mantiene un atteggiamento di apertura, come ha mostrato nello streaming.
Il punto più difficile delle trattative è stato in mattinata, quando il braccio di ferro con il Pdl, e in particolare con il Cavaliere «che tornava sempre suoi problemi personali» ha raggiunto livelli di intensità  pericolosi. Tra i nomi che Letta ha dovuto difendere con forza c’è quello di Fabrizio Saccomanni, all’Economia, che Silvio Berlusconi non aveva intenzione di accettare. Un ruolo di mediazione sarebbe stato svolto anche da Mario Monti, che avrebbe contribuito a convincere il Cavaliere della necessità  di cedere. Dandogli invece ragione sull’opportunità  di sostituire il nome di Michele Vietti con quello della Cancellieri per la Giustizia. Il momento particolarmente difficile è stato reso evidente dall’intervento di Pier Luigi Bersani, con la dichiarazione secondo cui il governo non si doveva fare a tutti i costi. Un segnale letto da alcuni quasi come una presa di distanza da Letta. Che però non la vede così: «Pier Luigi ha usato le stesse parole che avevo usato io ed era evidente l’unità  di intenti e il suo tentativo di aiutarmi». Facendo pressione sul Pdl per convincerlo a più miti consigli. A testimonianza del rapporto non incrinato con il segretario uscente del Pd, dallo staff di Letta si fa notare l’ingresso nel governo di Flavio Zanonato, sindaco di Padova e bersaniano. Così come viene smentito qualunque malumore con Massimo D’Alema e viene evidenziato il buon rapporto con l’ex ministro degli Esteri di Massimo Bray, titolare dei Beni culturali.
Insomma, Letta tiene a rimarcare di avere compiuto le sue scelte in autonomia, ma di averlo fatto rispettoso delle diverse anime del partito, oltre che delle altre formazioni che lo appoggiano. Una virtù che gli riconosce Lorenzo Dellai: «Ha una capacità  di mediazione democristiana. Anche se spesso si sorride di questa parola, è una delle grandi culture politiche di questo Paese ed esprime l’idea che la politica non sia solo talk show».
Dopo la lunga stretta di mano con Napolitano, testimonianza anche visiva della forte sintonia con il Colle, Letta è tornato a casa. Per riposarsi ma anche per preparare il discorso su cui domani chiederà  la fiducia alle Camere, dopo il giuramento. Un discorso al quale hanno lavorato in tanti in queste ore, ma che Letta rivedrà  personalmente. E che avrà , spiega chi ci ha lavorato, «una forte impronta europeistica». Sarà  un discorso fortemente «politico», stesso termine usato dal capo dello Stato per definire questo esecutivo. E si insisterà  sulla «responsabilità », altra parola chiave che il neopremier userà  spesso nel discorso. Responsabilità  che tutti i partiti si dovranno assumere nel facilitare il varo e la navigazione di un esecutivo non certamente ordinario nella storia della Repubblica. Perché, come dice la deputata Paola De Micheli, «ora ci troveremo di fronte alla realtà , ineluttabile: e dovremo viaggiare come missili».
Alessandro Trocino

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