Quel «dossier» consegnato ai leader

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ROMA — Si vedrà  se la fiducia espressa ieri in favore di Napolitano si trasformerà  domani in altrettanti voti di fiducia per il governo, se gli affidavit delle forze che hanno portato a una storica rielezione al Quirinale consentiranno l’avvio di una legislatura che rischia ancora di abortire. Per il momento, i leader di quella che dovrebbe diventare una nuova strana maggioranza hanno garantito di attenersi a un precetto del capo dello Stato, che ha chiesto un «aggiornamento del vocabolario» di Palazzo. «Non parlate più di inciucio ma di convergenza politica tra partiti», è stata l’esortazione del presidente della Repubblica: «Non capisco perché, quello che in Germania viene definito “governo di grande coalizione”, in Italia debba passare per “governicchio” o “inciucio”».
La riforma lessicale proposta dal presidente della Repubblica è più di una traccia per capire la riforma del processo politico a cui ambisce, e che sta dentro quel memorandum consegnato verbalmente ai suoi interlocutori: due cartelle zeppe di annotazioni, suggerimenti e perplessità  anche costituzionali, con riferimenti sia alla durata — ritenuta ormai eccessiva — del mandato presidenziale («sette anni sono tanti, persino in Francia li hanno ridotti a cinque»), e con ammonimenti espliciti sull’attuale sistema di voto («vi avevo chiesto di cambiare la legge elettorale e non mi avete dato retta»). Tutto nero su bianco, siccome — secondo Napolitano — «non si può andare alla cieca».
Martedì, alle consultazioni, sarà  più chiaro se il «governo di convergenza» potrà  prendere corpo. Il punto è che la disponibilità  manifestata dal Pd è diversa da quella del Pdl, e resta da capire se la mossa di Berlusconi — che si protende all’abbraccio — sia solo tattica, e abbia come obiettivo quello di tornare entro giugno alle urne. Perché quando il Cavaliere auspica che a palazzo Chigi possano sedere «le migliori espressioni dei partiti, per un esecutivo politico forte», i Democratici tendono subito a ritrarsi. D’altronde, i problemi che per due mesi hanno impedito un’intesa sul governo tra Bersani e Berlusconi non possono dissolversi in tre giorni. Anzi, la crisi in cui è precipitato il Pd dopo la corsa al Quirinale, tende a esacerbare gli animi a sinistra. Perciò — come ammette Enrico Letta — «non sarà  un’impresa facile».
Insomma, le probabilità  che si vada al voto restano alte, lo si poteva intuire dal clima che si respirava ieri a ora di pranzo alla riunione dello stato maggiore del Pdl, convocata dal Cavaliere subito dopo l’incontro con Napolitano. E ci sarà  un motivo se il leader del centrodestra ha relegato la (breve) informativa sul colloquio al Colle al termine del vertice, che per il resto si è incentrato sull’organizzazione del partito, sulla raccolta dei fondi e sul «giro per le cento città » che Berlusconi ha in animo di fare, con cento piazze da riempire. La tentazione elettorale è forte, per capitalizzare il saldo positivo dei sondaggi, giocare d’anticipo su Renzi, battere un Pd in crisi e cancellare il centro montiano dalla mappa politica.
Certo, il Cavaliere dovrà  fare i conti con il presidente della Repubblica, determinato a evitare la fine anticipata della legislatura e forte anche del sostegno di Maroni, che vorrebbe evitare un ritorno alle urne e tuttavia non ha molti margini di manovra rispetto all’alleato. Il capo della Lega riconosce che la rielezione di Napolitano e il progetto di un «governo di convergenza» gestito dal Colle sanno di «commissariamento soft della politica»: «D’altronde il grillismo lo si sconfigge solo avendo il coraggio di fare le riforme, senza aver paura di un tweet». Ma accennando all’ipotesi di un ticket «Enrico Letta-Angelino Alfano» a palazzo Chigi, il leader del Carroccio tocca il nervo scoperto di un Pd scosso e ormai spaccato, come volesse indurlo alla reazione. Se così fosse, non ci sarebbero margini per un’intesa.
La prudenza di Berlusconi in questa fase è il segno che non intende fare passi falsi, soprattutto rispetto al capo dello Stato per evitare la sua reazione. Il Cavaliere — per effetto degli errori del Pd — ha molte carte in mano, ma un errore potrebbe fargli perdere il vantaggio che ha acquisito. Non c’è dubbio però che il ritorno alle urne è una prospettiva ancora forte, un desiderio al momento tenuto nascosto e che comunque viene colto anche dai suoi attuali avversari. Il segretario dell’Udc Cesa racconta che «l’elezione di Napolitano è stata accolta dai grandi elettori con un senso di liberazione. E noi speriamo che — grazie al suo operato — si possa superare quel clima di scontro che ancora si avverte in Parlamento». Pochi giorni e si capirà  se l’auspicio potrà  tramutarsi in certezza.


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