Politica Ostaggio della Lobby armata
Ma mai il presidente aveva usato un linguaggio così duro, arrivando a interrogarsi sulla sostenibilità delle norme che regolano il funzionamento del Senato: «Il 90% degli americani condivide la riforma, la maggioranza dei senatori vota a favore, ma la legge non passa. Vince la lobby delle armi che ha seminato bugie. Allora mi chiedo: ma noi chi rappresentiamo?»
Ci sono varie «prime volte» nelle reazioni al voto col quale mercoledì sera il Senato, pur approvandola a maggioranza semplice (54 a 46), ha di fatto bloccato la legge sulle nuove procedure di controllo per chi acquista armi da fuoco. È la prima volta che Obama si rivolge al Congresso usando termini così pesanti, mettendo addirittura in dubbio che i meccanismi della rappresentanza politica vengano usati in modo corretto a «Capitol Hill». Mai prima d’ora il presidente aveva poi rivelato le pressioni che ha esercitato personalmente sui singoli senatori, anche del suo partito, dando conto delle risposte imbarazzate, elusive, di molti. Ed è la prima volta che Obama contraddice la sua regola aurea: mai andare fino in fondo in una battaglia se non pensi di poterla vincere.
Barack stavolta non ha nemmeno seguito in tv lo scrutinio: sapeva che avrebbe perso. Ma non ha mollato. Perché crede in questa causa, perché la strage dei bambini di Newtown ha commosso davvero lui e Michelle, gli ha fatto sentire la responsabilità di aver accantonato la questione-armi per tutto il suo primo mandato. Ma, soprattutto, Obama percepisce che il Paese stavolta è con lui, che gli umori sono cambiati. L’Nra l’ha spuntata di nuovo, ma stavolta ha esagerato. E difficilmente in futuro potrà conseguire un’altra vittoria di queste proporzioni. Obama e i democratici sperano che il voto-choc di mercoledì, arrivato proprio mentre l’America piange le vittime di Boston, dia una scossa al Paese e al suo sistema politico. Certo, la defezione di quattro senatori in qualche modo spacca il partito del presidente. Ma è la loro stessa provenienza — Montana, North Dakota, Alaska, Arkansas — a spiegare la natura del problema: parlamentari di Stati poco popolati per i cui cittadini il fucile è strumento di difesa da una natura selvaggia, una polizza d’assicurazione per chi vive in luoghi isolati. Senatori eletti da Stati con poche centinaia di migliaia di abitanti che, nel sistema istituzionale americano, pesano quanto quelli che rappresentano i 28 milioni di californiani o i quasi 20 milioni dello Stato di New York.
Non sarà certo Obama, che non riesce a far passare una correzione del bilancio federale, a riformare la Costituzione e il Senato, ma l’abnormità di questa situazione è ormai sotto gli occhi di tutti e i repubblicani rischiano di andare verso l’autodistruzione se continuano a usare in modo indiscriminato il «filibustering» per impedire al presidente di governare. Obama pensa, insomma, di avere ancora il vento elettorale in poppa. Ma c’è anche chi ritiene che abbia messo troppa carne al fuoco: «Immigrati clandestini, armi, matrimoni gay: troppe istanze progressiste tutte insieme» mormorano, al Congresso, parlamentari moderati di tutti e due i partiti.
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