Più manager, spariti impiegati e commessi l’economia riparte senza la classe media

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A dirlo è un’analisi impietosa del Bureau of Labour Statistics che incrocia la quantità  e la qualità  dell’occupazione. La prima conseguenza è un calo medio del reddito delle famiglie che si assesta sui 51mila dollari con una perdita del 5,6% in tre anni. Una frenata in controtendenza visto che qui qualche segnale di speranza c’è, e che, pure con tutte le ovvie prudenze, la parola ripresa non è più un tabù. Ma ad intercettare i vantaggi della crescita è una cerchia sempre più ristretta, il 10%, con il divario tra le classi sociali che aumenta in maniera esponenziale spingendo sempre più giù, sempre più ai margini la middle class. L’hi tech, la conseguente necessità  di una preparazione sempre più sofisticata, scrive il Financial Times, sono la ragione principale di questa controrivoluzione: «Internet crea continuamente nuovi posti qualificati, ma colpisce in maniera altrettanto inesorabile molte occupazioni tradizionali e il saldo è negativo », spiegano gli esperti.
Lo dicono i numeri, ma non solo. Scena prima: una ventina di persone in fila per pagare dopo la spesa in un supermercato di New York, dietro le sette casse allineate sul bancone rosso nessun dipendente, vicino alla porta due macchine a metà  tra la bilancia e il bancomat aspettano i clienti per il selfpay, a vigilare sull’operazione, un ragazzo giovanissimo che aiuta i pretecnologici. Scena seconda: sabato pomeriggio, all’ora dello shopping a SoHo, uno dei quartieri più alla moda di Manhattan, la ragazza vede un paio di jeans in vetrina, parla con l’amica e poco dopo li ordina online usando una delle applicazioni che negli ultimi mesi hanno fatto fare il definitivo balzo in avanti all’e-commerce. A guadagnarci, gli ingegneri informatici che hanno programmato le macchine del negozio e i giovani talenti della Silicon Valley che danno
da mangiare sempre nuove invenzioni ai nostri smartphone. In via di estinzione cassieri e commessi. Ma non solo loro, la lista è lunga: bibliotecari, benzinai, impiegati, ovviamente operai (tra i primi a pagare il conto della robotizzazione). In crescita tutte le mansioni manageriali soprattutto, quelle “.com”, e infatti è l’industria privata a sostenere le cifre dell’occupazione, mentre quella pubblica (la grande massa dei colletti bianchi) è in continua recessione. E basta andare sul sito del Bureau of Labour Statistics per vedere la mappa che indica dove c’è il maggior incremento dell’occupazione per averne un’altra conferma: le due coste sono quelle con il colore più acceso. Epicentro la California con la sua Silicon Valley, ma anche su sino a Seattle (casa della Microsoft e di Amazon) dove arrivano continuamente giovani laureati, attirati dalle continue offerte dell’industria tecnologica. Fenomeno così evidente da rimettere in moto la migrazione interna, bloccata negli anni più cupi della crisi. Bene anche la Grande Mela che, come scriveva alcuni giorni fa il New York Times, sta diventando sempre di più il nuovo centro informatico: «sono i manager dell’hi tech a trascinare la ripresa della città ». E’ una ripresa tecnologica e poco industriale, con un ruolo chiave delle competenze. Per questo il Congresso mette al centro della riforma sull’immigrazione l’estensione dei visti per i laureati con «i voti più alti e con le lauree web». E per lo stesso motivo Bill Gates continua a donare fondi e lanciare appelli sulla necessità  di alzare la qualità  dell’istruzione.
C’è però, avvisano i ricercatori, una piccola porta anche per chi non è tecnologico oppure è ormai tagliato fuori dal sistema scolastico: «Aumentano quei lavori che richiedono capacità  specifiche e soprattutto abilità  nella gestione delle persone. Un esempio su tutti gli specialisti dell’assistenza sanitaria a domicilio, uno dei settori in maggiore espansione. Poche speranze per tutti gli impieghi meccanici, di routine, che possono essere sostituiti dall’informatizzazione». Ma se questi lavoratori mantengono o trovano l’impiego, non salvano il loro livello di reddito. Anche in questo caso le cifre sono chiare: in un anno la media al ribasso è di diecimila dollari, con i manager che invece continuano a veder crescere le loro buste paga. Tanto che Lawrence Mishel presidente dell’Economic Politicy Institute di Washington, dice al Financial Times: «Non sono sicuro che sia la tecnologia ad aumentare le diseguaglianze, quel che è certo è che la crisi ha spostato il potere tutto nelle mani dei datori di lavoro ». Altre brutte notizie dunque per il superstite 16% di impiegati impegnati nella vitale sfida per la sopravvivenza.


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