Piccoli Keynes crescono

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NEW YORK. «Ogni cittadino deve avere una conoscenza di base: economia e finanza». L’avvertimento è stato lanciato dal banchiere centrale più potente del mondo, Ben Bernanke. In una conferenza alla University of Dayton, il presidente della Federal Reserve ha spiegato che questa è una delle lezioni da trarre dopo la grande crisi scoppiata nel 2008. Insegnare l’abc dell’economia fin dai banchi di scuola potrebbe essere un antidoto contro l’imprudenza dei risparmiatori e i raggiri della malafinanza. Di più: se la scuola aiutasse a decifrare gli arcani dell’economia, formerebbe degli elettori più maturi, meno manipolabili. «Queste conoscenze — ha detto Bernanke — non solo aiutano la gente a costruirsi una vita migliore, ma agguerriscono i cittadini di fronte a un’economia globale e a un sistema finanziario sempre più complessi». Bernanke ha usato uno slogan: «alfabetizzazione economica di massa», che può apparire rivoluzionario. In realtà  è un’idea che si sta già  facendo strada in diversi paesi del mondo. Insegnare l’economia ai bambini.
Perché da adulti non siano prede inermi della speculazione, o vittime di politici-demagoghi che vendono ricette miracolistiche, ciarlatani dalle soluzioni facili.
In America è attiva già  da 15 anni una fondazione, BizWorld, che promuove l’insegnamento dell’economia fin dalla più tenera infanzia: addirittura cominciando dalla scuola elementare. L’ha creata un nome celebre nel mondo del venture capital della Silicon Valley, Tim Draper, che ha contribuito tra l’altro alla creazione di Skype e all’invenzione del “marketing virale”. Con la BizWorld Foundation, si è dato una missione: «Sviluppare il pensiero critico e lo spirito di squadra, per aiutare i giovani ad essere dei membri produttivi della nostra società ». Concretamente, BizWorld finanzia l’addestramento degli insegnanti, per aiutarli a tenere corsi molto semplici — il modulo iniziale è di sole dieci ore — che rendano l’economia una scienza allegra e una scienza amica per i bambini. Uno sforzo particolare è diretto a elaborare metodi d’insegnamento che siano alla portata di tutti i ragazzi, anche quelli che provengono da ambienti socio-economici più sfavoriti. Essendo nato nella Silicon Valley, il programma ha anche l’ambizione di formare una «generazione di innovatori ». Dietro c’è la convinzione, molto californiana, che l’economia «siamo noi», non è necessariamente una macro-macchina infernale le cui regole sono decise da altri, possiamo cambiarne il corso creando la nostra impresa, il nostro lavoro. È stato applicato non solo negli Stati Uniti ma anche in Olanda, Singapore, Corea del Sud, India.
Oltre alle iniziative di Ong non-profit come quella di BizWorld, c’è ormai un movimento per “portare l’economia verso i bambini” che coinvolge governi e istituzioni internazionali. In America ha l’approvazione di Barack Obama e il sigillo della Casa Bianca un sito Internet che si chiama Money As You Grow (“il denaro mentre cresci”). Sotto il titolo del sito si spiega di cosa si tratta: «Le 20 cose che i ragazzi hanno bisogno di sapere per vivere una vita economicamente intelligente». La pagina d’ingresso è divertente, mostra cinque sagome colorate per altrettante età , partendo dalla fascia dei trecinque anni, per finire con i diciottenni. Clicchi su una di quelle sagome ed escono le spiegazioni su misura. Per i bambini di tre anni si tratta di un dizionarietto elementare che spiega il significato di termini economici usati quotidianamente
dai genitori. Ma basta arrivare ai tredici anni e già  dalla “sagoma digitale” escono consigli molto precisi sulle carte di credito: cosa sono davvero, quali pericoli nascondono. Consigli preziosi in un paese dove la cultura del debito facile ha provocato danni gravi, soprattutto tra le famiglie meno abbienti.
L’Ocse, organismo dei paesi industrializzati con sede a Parigi, ha un programma di “alfabetizzazione finanziaria”. La sua direttrice, Flore-Anne Messy, parla di una «tendenza mondiale» ed elenca Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Brasile, tra i paesi che hanno inserito economia e finanza nei programmi della loro scuola dell’obbligo.
Un’accelerazione in questa direzione è venuta dopo la crisi del 2008. Proprio come sostiene Bernanke, quella crisi ha fornito degli argomenti forti per dare ai ragazzi degli strumenti con cui decifrare l’economia. La prima motivazione è difensiva: bisogna proteggerci dalle insidie della mala-finanza. È stato dimostrato nel caso dei mutui subprime: quelle famiglie che avevano ricevuto una sia pur minima infarinatura d’informazione finanziaria e dei consigli indipendenti, furono meno sprovvedute di fronte alle banche che offrivano mutui- trappola. L’ignoranza dei più fu fatale: attratti da condizioni apparentemente allettanti, si trovarono ben presto con dei tassi quasi da usura, incapaci di rimborsare i debiti. Una seconda motivazione per insegnare economia dall’infanzia, guarda al futuro: in una economia della “scarsità ” saremo chiamati a fare scelte delicate, sulla destinazione dei nostri risparmi verso fondi pensione, polizze vita, assicurazioni sanitarie. Sia che il welfare state venga dimagrito, sia che gli si affianchino forme complementari di previdenza e assistenza, dovremo saperne di più.
È emblematico il movimento cresciuto in Gran Bretagna per portare l’economia nelle scuole. Centomila firmatari hanno presentato una petizione in Parlamento, dove figura questo passaggio: «Le imprese investono miliardi nel marketing, per insegnare ai loro manager come vendere; è ora di formare i consumatori perché siano meno manipolabili». Questo movimento ha già  incassato un successo. Dal settembre 2014 partirà  nelle scuole inglesi un nuovo programma per fornire i rudimenti di economia agli scolari fra gli 11 e i 14 anni; poi dai 14 ai 16 anni impareranno nozioni più raffinate di finanza, investimenti a rischio. Il tutto diventerà  una componente integrativa dell’insegnamento della matematica. Il settimanale economico più famoso nel mondo, il britannico The Economist, ha creato una fondazione filantropica per «spiegare la globalizzazione ai bambini», con uno sforzo particolare rivolto ai paesi emergenti.
Ora la Spagna ha deciso di seguire i consigli di Bernanke, e ha le sue buone ragioni. La crisi spagnola ha avuto caratteristiche genetiche simili a quella americana: all’origine vi fu una bolla immobiliare, mutui facili, speculazione irresponsabile, consumatori intrappolati dalle banche.
Ora è proprio la banca centrale spagnola a promuovere un progetto pilota: 411 scuole, ventimila alunni riceveranno i primi corsi di addestramento, sperando che crescano più esperti dei loro genitori. Qualcosa si muove anche in Italia, e tra le iniziative più interessanti c’è la scuola Faes Monforte di Milano, dove dei docenti del Politecnico sono stati invitati a tenere “lezioni sulla crisi” ai ragazzi dai nove ai tredici anni.
Insegnare l’economia ai bambini, sì, ma quale? La scienza economica non gode della stessa reputazione che hanno le scienze naturali, quelle che un tempo venivano definite anche come “scienze esatte”. Esatta, l’economia? No di certo. Molto più di quanto accada ai fisici nucleari, ai geologi o agli astronomi, gli economisti sono divisi in scuole, correnti di pensiero, dottrine spesso fieramente avverse tra loro. La categoria ha avuto un tracollo di credibilità  perché solo un’infima minoranza di economisti seppe prevedere il disastro del 2008. Sulle terapie per uscire dalla crisi, i keynesiani alla Paul Krugman hanno idee antitetiche rispetto ai teorici dell’austerity. In queste guerre di pensiero, c’è il rischio che l’insegnamento scolastico diventi indottrinamento? Perfino in America, paese dove la cultura liberale ha radici profonde e il ruolo
dell’imprenditore è rispettato, la destra repubblicana può sospettare che gli insegnanti (una delle poche categorie ancora sindacalizzate) siano portatori di un pensiero economico troppo progressista, socialisteggiante. Finiremo per avere anche qui le battaglie tra partiti, come sull’ora di religione o sul creazionismo? Per adesso questi timori sono infondati. Scorrendo il materiale didattico più diffuso, dal sito con la “sponsorizzazione Obama” alle immagini digitali della The Economist Educational Foundation, quello che meraviglia è la semplicità , l’abilità  pedagogica, la fantasia nel rendere facili e suggestivi i concetti di base dell’economia. Come, ad esempio, che cos’è davvero la moneta. (Una domanda alla quale anche Bernanke e Mario Draghi qualche volta non sono sicuri di aver trovato una risposta definitiva).


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