Perché ora serve un vero piano sulla distribuzione

by Sergio Segio | 15 Aprile 2013 6:56

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Si conferma così che l’industria del design sta reagendo alla crisi spingendo il pedale dell’innovazione e la doppia dimostrazione di coraggio merita sicuramente un applauso. Anche perché nei discorsi che si sono sentiti anche ieri a Rho da parte degli imprenditori più impegnati nel Salone non c’è la benché minima intenzione di fermarsi a rimirarsi narcisisticamente allo specchio, anzi ci si interroga su che cosa si possa/debba fare di più. E chiaramente l’indagine non può che individuare come terreni di miglioramento e crescita il marketing, la distribuzione e l’allargamento dell’internazionalizzazione ad altri soggetti. Le grandi firme del design made in Italy sul piano commerciale hanno da tempo adottato la strategia dei negozi monomarca nei punti caldi dello shopping mondiale ma le piccole e medie aziende non possono sopportare lo stesso sforzo finanziario. È necessaria, dunque, una strategia di accompagnamento all’estero che sia di medio periodo, mirata su ogni singolo mercato e che metta in campo almeno tre strumenti essenziali: la diplomazia economica, il ruolo dell’Ice e l’iniziativa fieristica. Gli organizzatori del Salone del Mobile chiedono che ciò avvenga in maniera coordinata evitando di duplicare gli interventi ad opera di Regioni, Camere di commercio e associazioni di rappresentanza. E hanno ragione, non è certo questo il momento di disperdere le risorse. Ribadito nella settimana milanese il primato organizzativo e industriale dell’Italia in materia di design bisogna porre attenzione a che il gruppo di testa riesca a trainare in avanti l’intera filiera. Non solo perché la scomparsa di un fornitore qualificato spesso può mettere in crisi le stesse aziende-clou ma perché sarebbe un errore anche solo concepire una sorta di patto non scritto che suonasse così: «all’Italia l’eccellenza, il resto all’Ikea». Senza voler demonizzare i retailer stranieri è necessario che l’industria italiana del legno e dell’arredo elabori a sua volta un progetto di medio termine che non si limiti a chiedere incentivi e comprenda invece il tema della distribuzione. Altrimenti si verificherà  il paradosso che identificheremo i distretti non più con il nome dei nostri meravigliosi paesi ma con il brand della multinazionale (Ikea nel mobile o Decathlon negli articoli sportivi). Come ricordano i nostri calzaturieri ormai il maggior concorrente che hanno in Italia è un distributore (Zara) che fa produrre con il suo marchio e vende scarpe come fossero pane. Morale: le filiere di domani dipenderanno (anche) da chi sta a valle e non solo dai produttori a monte. E a valle, dunque, bisogna esserci.

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