Pd, è iniziato il congresso: si dimette l’intera segreteria Il pianto (e l’ira) di Bersani

by Sergio Segio | 21 Aprile 2013 6:35

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ROMA — Quando si spegne anche l’ultimo applauso e i grandi elettori cominciano a lasciare l’Aula, un parlamentare del Pd si avvicina a Bersani: «Abbiamo superato uno scoglio alto Pier Luigi, adesso puoi ritirare le tue dimissioni…». E il segretario, smentendo ripensamenti: «Quello è uno scoglio molto più alto». Pochi minuti dopo è ufficiale, il Pd non ha più un leader e la segreteria si dimette in blocco. Enrico Letta sa che dentro il Pd bisognerà  fare «grande pulizia» e annuncia che si andrà  rapidamente al congresso: «È stata una bella pagina di democrazia, ma la vergogna dei franchi tiratori è indelebile. Basta divisioni e trabocchetti».
Resta l’amarezza, mista alla soddisfazione per un voto che ricompatta il partito, almeno per un giorno. E restano le lacrime di Bersani fra i banchi del Pd, che dicono le tre notti insonni e il terrore di altri franchi tiratori. Scampato il pericolo la tensione si scioglie, l’ormai ex segretario si asciuga gli occhi ed esce di scena. La stampa lo aspetta al varco, in Transatlantico. Ma l’uomo di Bettola è stanco, scivola via dall’Aula da un’uscita laterale e parte per Piacenza, a casa.
«L’elezione di Napolitano è un risultato eccellente» lo ringrazia Bersani e fa appello al senso di responsabilità  del suo partito: «Le difficoltà  e i problemi politici restano». Dietro le spalle, un Pd nel caos. La sequenza choc di strappi, ribaltoni e agguati con cui il centrosinistra ha contribuito ad affossare Marini e Prodi manda in pezzi l’alleanza. La coalizione non esiste più, Nichi Vendola ha violato i patti nel nome di Rodotà  e già  lancia l’opa sulla sinistra del Pd, già  annuncia un’«Assemblea di popolo» in vista di un nuovo soggetto della sinistra.
«Saremo all’opposizione del governissimo», è la sfida di Vendola. E Fabrizio Barca, con una dichiarazione sorprendente anti-Napolitano, apre di fatto il congresso del Pd. Matteo Renzi è l’avversario naturale, ma il sindaco non svela i suoi piani: «Candidarmi? Da qui alle assise c’è tempo… Le dimissioni di Bersani sono una decisione saggia». Pier Luigi ne è uscito «in piedi», dicono i suoi. Ma il peggio deve ancora arrivare. La scissione è nell’aria. Il timore diffuso è che il Pd non regga alla prova del governissimo e che l’ala sinistra lasci il partito per unirsi a Sel. Fra due o tre giorni qualche demo-grillino potrebbe già  accomodarsi fuori, in attesa degli eventi. «Bersani è stato fottuto dal suo stalinismo», è il benservito di Corradino Mineo. È in questo quadro che si inseriscono le parole di Barca, il cui tempismo allarma i dirigenti dimissionari. «Incomprensibile che il Pd non appoggi Rodotà  o Bonino» scrive su Twitter il ministro, una manciata di minuti dopo che l’assemblea dei grandi elettori democratici ha acclamato Napolitano. È una sirena per Vendola e Grillo e, per il Pd, il segnale della rottura imminente. La conferma che il partito è davvero finito e un’altra storia comincia. «Io non lavoro per la scissione del Pd, ma lì covano due opzioni politiche» smentisce Vendola, e suona come una conferma. «Faremo un governo solido e chi non lo condivide farà  le sue scelte», indica la porta Fioroni. Il capogruppo Roberto Speranza è sorpreso per le parole «divisive» di Barca, Ettore Rosato le ritiene «inopportune» e anche Renzi le ha lette come «singolari e intempestive».
Il problema, adesso, è chi rappresenterà  il Pd alle consultazioni oltre ai due capigruppo, Speranza e Luigi Zanda. Per ora una reggenza non è prevista, tanto più che le voci di palazzo accreditano Letta come probabile presidente incaricato. Si parla di un «direttorio», di «gestione collegiale» e di «comitato di reggenza», ma sarà  la direzione a decidere. La lotta intestina non si placa, le giovani leve, da Alessandra Moretti a Marianna Madia, raccolgono firme in calce a un documento che respinge il sospetto di aver sabotato Prodi e certifica lo scontro generazionale: «Il Pd è dilaniato da vecchi rancori». Walter Tocci, Laura Puppato e Pippo Civati non hanno votato Napolitano e non sono i soli, nonostante il duro monito di Bersani al mattino, all’assemblea dei gruppi. «Basta, mi avete rotto! — si arrabbia il leader dimissionario, con una botta di orgoglio —. Lo volete capire che quando dico una cosa è quella? Con Napolitano non c’è alcuno scambio sul governo, né per Amato né per altri. Cerchiamo di evitare al Paese guai peggiori… E smettiamola con questi telefonini, la politica non si fa a colpi di tweet e di sms».
Monica Guerzoni

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