by Sergio Segio | 4 Aprile 2013 7:25
E la sua lista di obiettivi militari comprende inoltre le basi militari Usa dell’Asia e del Pacifico. Dal momento che Kim sa bene che una guerra contro gli Usa porterebbe alla distruzione del suo Paese, simili provocazioni andrebbero prese con un pizzico di sale. Perché insiste con questo atteggiamento belligerante? Il suo governo non è in grado nemmeno di sfamare
il popolo.
La Corea del Nord infatti è uno dei Paesi più poveri del mondo: la sua popolazione è devastata a scadenze regolari dalle carestie, mentre a Pyongyang, la capitale, l’elettricità non basta nemmeno a tenere accese le luci nei pochi grandi alberghi. Minacciare un attacco contro la nazione più potente del mondo sembra quindi una dimostrazione di scelleratezza. Tuttavia, ritenere che Kim Jong-un e i suoi consiglieri militari siano folli non è né utile né molto plausibile. Di certo, nel sistema politico della Corea del Nord vi è qualcosa di folle. La tirannia della famiglia Kim si basa su una miscela letale di paranoia, fanatismo religioso e spietata realpolitik che merita di essere spiegata. La storia della Corea del Nord è breve e piuttosto semplice: nel 1945, dopo il crollo dell’impero giapponese — che dal 1910 aveva governato in maniera assai brutale sull’intera Corea —, il nord venne occupato dall’Armata rossa sovietica, e il sud dagli Stati Uniti. Da un campo militare di Vladivostok i sovietici presero un comunista coreano relativamente sconosciuto di nome Kim Il-song, e lo piazzarono a Pyongyang come leader della Corea del Nord. Sul suo eroismo e il suo stato divino iniziarono presto a diffondersi delle leggende inventate di sana pianta, che gettarono le basi di un culto della personalità .
La venerazione di Kim, di suo figlio e di suo nipote alla stregua di divinità coreane entrò a far parte della religione di Stato. La Corea del Nord è essenzialmente una teocrazia, e il culto che circonda i “divini” Kim, basato in parte su alcuni elementi presi in prestito dallo stalinismo e dal maoismo, si ispira soprattutto alle forme indigene dello sciamanesimo coreano, dove divinità umane promettono la salvezza (non a caso anche il reverendo Moon e la sua Chiesa dell’Unificazione vengono dalla Corea). Ma il potere del culto dei Kim, e la paranoia, affondano le proprie radici in un’epoca precedente al 1945. Stretta in una scomoda posizione tra Cina, Russia e Giappone, la Corea è da tempo teatro di sanguinose lotte di potere. I governanti coreani sono riusciti a sopravvivere aizzando le potenze straniere una contro l’altra, e offrendo (in particolare agli imperatori cinesi) la propria subordinazione in cambio di protezione. Da questo atteggiamento derivano oggi un’intensa paura e un’avversione nei confronti delle grandi potenze.
La principale rivendicazione ideologica alla base della legittimità della dinastia Kim risiede nella cosiddetta filosofia Juche, che significa autosufficienza. Kim Il-song e suo figlio Kim Jong-il sono stati dei tipici governanti coreani, in quanto misero una contro l’altra Cina e Unione Sovietica, assicurandosi la protezione di entrambe e dando a tutto ciò il nome di “autosufficienza”. La propaganda nordcoreana ha sempre accusato i sudcoreani di essere dei pavidi lacchè dell’imperialismo Usa.
La paranoia nei confronti dell’imperialismo Usa è dunque parte del culto dell’indipendenza, mentre la minaccia rappresentata dai nemici esterni è essenziale alla sopravvivenza della dinastia Kim. La caduta dell’Unione Sovietica fu disastrosa per la Corea del Nord, così come lo fu per Cuba, in quanto non solo la privò del sostegno economico sovietico, ma impedì ai Kim di continuare a opporre tra loro le due grandi potenze. Non rimaneva che la Cina, dalla quale oggi la Corea del Nord dipende quasi del tutto. La Cina potrebbe mettere in ginocchio la Corea del Nord in un solo giorno, interrompendo le forniture di cibo e di carburante.
C’è un solo modo per distogliere l’attenzione da questa situazione umiliante: esasperare la propaganda incentrata sull’autosufficienza e sull’imminente minaccia degli imperialisti Usa e dei loro lacchè sudcoreani. In assenza di una paranoia così orchestrata, i Kim perderebbero ogni legittimità . Nessuna tirannia può sopravvivere affidandosi solo alla forza bruta. Secondo alcuni, gli Usa potrebbero rendere la situazione nell’Asia nordorientale più sicura stringendo un patto con i nordcoreani e promettendo loro di non attaccare né tentare di rovesciare il regime di Kim. È improbabile che gli americani accettino una simile proposta, o che la Corea del Sud si auspichi che ciò accada. In ogni modo, motivi di politica interna impediscono a un presidente democratico Usa di dimostrarsi condiscendente. Con ogni probabilità inoltre la propaganda paranoica della Corea del Nord non si fermerebbe nemmeno di fronte a simili promesse. Dopo tutto, la paura del mondo esterno rappresenta il cardine della filosofia Juche.
La tragedia della Corea sta nel fatto che nessuno desidera realmente modificare lo status quo:
la Cina vuole che la Corea del Nord rimanga uno Stato cuscinetto, e teme che il crollo del regime possa tradursi nell’arrivo di milioni di rifugiati — dal momento che i sudcoreani non sarebbero in grado di “assorbire” la Corea del Nord così come la Germania dell’Ovest assorbì lo Stato comunista tedesco; infine, né il Giappone né gli Usa sono desiderosi di pagare le conseguenze del crollo della Corea del Nord. La situazione è esplosiva, e rimarrà tale. Il popolo nordcoreano continuerà a patire carestie e tirannia, e tra le due Coree continueranno a volare parole di guerra. Basta poco a scatenare una catastrofe — a Sarajevo bastò uno sparo. E intanto la Corea del Nord continua a disporre di quegli ordigni nucleari.
(Traduzione di Marzia Porta)
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