Oltre l’ombra paurosa del Nulla dove le cose non finiscono mai
Il senso del vuoto, della privazione, dell’assenza sta al centro della storia dell’uomo. Il significato radicale che il «nulla» ha assunto nel pensiero filosofico accompagna come un’ombra non solo questa forma di pensiero, ma l’intera storia dell’Occidente. È la radice dominante dell’angoscia dell’uomo occidentale (che ormai è l’uomo planetario). Non solo perché il nulla è il nulla, ma anche per il carattere ambiguo di tale radice. Già Platone si accorge che pensare il nulla e parlare del nulla è pensare qualcosa e parlare di qualcosa. Come se il nemico che si ha di fronte si sdoppiasse. E ci ingannasse sulla sua identità .
Da gran tempo i miei scritti hanno affrontato questo evento spaesante: da La struttura originaria (1958) a La morte e la terra (2011). Appunto a queste due opere si ricollega Intorno al senso del nulla: da un lato mostrando come l’ambiguità del nulla sia ben più profonda di quanto possa sembrare, dall’altro approfondendo le condizioni che rendono possibile la via di uscita.
Lasciando irrisolte le aporie suscitate dal senso del nulla si lascia avvolto dall’ambiguità ciò che peraltro non può essere negato, cioè lo stesso tratto di fondo del destino della verità : che l’uomo e ogni altro ente sono da sempre salvi dal nulla. (Ma il disorientamento avvolgerebbe anche la convinzione, dominante nella storia dell’Occidente, che il tutto provenga dal nulla e vi ritorni).
Appunto a questi temi si rivolge la parte centrale di queste pagine, la seconda, che dà il titolo all’intero volume. Ritornando al tema del «senso del nulla» e ai problemi da esso suscitati, li accosta però in modi diversi da quello sviluppato nel capitolo IV della Struttura originaria. Diversi ma complementari. Anche questa Parte seconda, cioè, ritorna al tema del «senso del nulla» attraverso la considerazione dell’aporetica a cui tale senso dà luogo, ma riferendosi a tipi di aporie che differiscono da quello presente nel capitolo IV della Struttura originaria.
La Parte prima, oltre a sviluppare il senso del rapporto tra «nulla», «possibilità » e «potenza» (procedendo dal capitolo V della Parte prima di Fondamento della contraddizione), mostra un ulteriore aspetto della contraddizione dell’essenza autentica del nichilismo — l’aspetto per il quale il diventare altro, quindi il diventare nulla o l’uscire dal nulla, è un’«infinità » di contraddizioni.
Infine la Parte terza («Errare e dialogare del linguaggio che testimonia il destino e fondamento di tale testimonianza») considera la più ampia aporetica relativa al l’affidabilità del linguaggio che testimonia il destino della verità e pertanto, in esso, il destino del nulla.(…)
Gran parte delle parole che nelle lingue indoeuropee indicano la «cosa» alludono più o meno direttamente ai beni, alle ricchezze, a ciò che serve e si adopera, a ciò di cui si ha bisogno, ai valori, al bestiame, all’affare, a ciò che è pregiato, alla sostanza e al patrimonio. Qui ci si limiti a richiamare il latino res, il greco prà¢gma, chràªma, il tedesco Ding (inglese thing) e Sache. Perfino lo spettro semantico del participio greco tà à³nta (gli essenti, le cose che sono) include le sostanze e i beni, e anche il participio ousàa nomina la sostanza intesa come patrimonio. Significati che precedono quelli che a queste stesse parole il pensiero filosofico ha in seguito assegnato. Ma è rilevante che quei più antichi significati della «cosa» implichino, a volte in modo del tutto esplicito, che il loro contenuto sia tutt’altro che indifferente alle singole volontà , le quali invece se li disputano anche in tempo di pace. Quei significati implicano cioè una situazione conflittuale e il luogo in cui essa viene discussa, che vengono in luce, ad esempio, in Ding, thing, che significano anche «causa», «tribunale», «parlamento», «assemblea», «verdetto, «processo». La stessa parola «cosa» proviene dal latino «causa», intesa sia come matrice e principio del diventar altro (dynamis eis tò patheà®n e dynamis eis tò poieà®n), sia in senso giuridico, come motivazione del diritto al possesso di ciò che è conteso tra volontà differenti.
Che la parola «cosa» significhi questa conflittualità , mostrata nelle antiche formazioni linguistiche della terra isolata è una figura che rinvia alla conflittualità originaria, dove la «cosa» è la risultante della lotta tra la volontà e l’Inflessibile, ossia è la forma originaria (quindi preontologica) del diventar altro. Dicendo che Pà³lemos è il padre di tutte le cose e che quindi ogni cosa è lotta, conflitto, Eraclito dice già implicitamente che il conflitto è il significato originario dell’esser «cosa» — sì che, come altre volte ho rilevato, si può dire che, nella terra isolata, la cosa è la madre di tutte le guerre.
Related Articles
L’incontro: Roberto Herlitzka
Nel rapporto con l’età mi sono coniato un motto: il passato è presente, il presente è assente, il futuro è passato In quel cognome che è una sfida alla popolarità ci sono le sue origini ceche ed ebraiche, e quel suo modo severo di fare teatro (da Ronconi a Stein) e cinema (da Montaldo a Bellocchio) “È vero, in effetti ho una inclinazione al tormento, bilanciata però da una caustica voglia di divertirmi”. Talvolta bevendo, scrivendo racconti scabrosi o facendo il verso a se stesso in tv
Giuseppe Mazzaglia, corpi barocchi nel segno del crollo
Il ricordo va alla Giunone di Ungaretti, 1931, nel Sentimento del Tempo, e a quella figura sensuale che si accende di colpo, si fa dirompente, sbilanciata, e poi precipita, con uno spazio lasciato in bianco, nel regno notturno dove il tempo non ha proprio senso che esista: «Tonda quel tanto che mi dà tormento / La tua coscia distacca di sull’altra… // Dilati la tua furia un’acre notte!».
QUELLA LETTERATURA CONTRO IL POTERE