Olanda abbandona tagli e riduzione deficit
PARIGI. Una crepa nel fronte del rigore: l’Olanda, sotto la pressione dei sindacati, ha rinunciato al piano di austerità che il premier liberale Mark Rutte aveva in programma. Il governo di coalizione liberali-laburisti non applicherà dunque il progetto di tagli da 16 miliardi previsti in un primo tempo.
Rutte e il ministro delle finanze laburista, Jeroen Dijsselbloem (che ha anche la presidenza dell’Eurogruppo, dove si è distinto per le gaffe su Cipro «modello» per l’Europa) hanno rinunciato a una riduzione immediata della spesa pubblica di 5 miliardi. Il governo olandese ha anche ammesso che il paese non rispetterà l’impegno di ridurre il deficit pubblico al 3% nel 2014. I salari pubblici non saranno congelati (minori risparmi per 2 miliardi). D’accordo i sindacati ma anche il padronato. Anche perché, con il crollo dei consumi causato dall’austerità , i fallimenti di imprese sono saliti dall’inizio di quest’anno del 48%.
La disoccupazione si è impennata ed è ora dell’8,1% (contro il 6,4% nel 2012). Così il progetto di rendere più facili i licenziamenti è stato rimesso nel cassetto né verranno ridotti gli assegni di disoccupazione (minor risparmio di 1,3 miliardi). Rutte non ha invece ancora abbandonato l’idea di tassare i fondi pensione, che avrebbe fatto arrivare all’erario 2,2 miliardi in più. Per ora il progetto è solo rimandato.
Il fronte del rigore, guidato dalla Germania e di cui faceva parte l’Olanda assieme a Finlandia e Austria, perde così una pedina importante. Molti paesi in crisi della zona euro sperano adesso che anche l’imminente assemblea generale dell’Fmi a Washington spinga per un allentamento del rigore. In particolare la Spagna è pronta a chiedere al Fondo, che già ha criticato l’austerità della zona euro, di adoperarsi per far cambiare rotta all’Europa. Madrid spera così di ottenere da Bruxelles due anni di tempo in più – fino al 2016 – per rientrare nel parametro del 3% di deficit. La Francia ha già annunciato che non rispetterà i tempi per ridurre il deficit al 3% (quest’anno sarà al 3,7%).
Hollande e il governo sono in grande difficoltà , non solo per la rivolta dell’estrema destra contro il matrimonio gay ma anche per la protesta contro la politica economica, che il 5 maggio, a un anno dalla vittoria di Hollande del 6 maggio 2012, porterà in piazza il Front de Gauche e tutti gli scontenti a sinistra.
Il piano di Hollande, difatti non sta funzionando. Il presidente aveva previsto un periodo di austerità per la prima parte del suo mandato, con l’obiettivo, una volta raggiunti gli equilibri di bilancio, di rilanciare l’economia nell’ultimo periodo prima delle prossime presidenziali del 2017 (con la speranza di venire così rieletto). Per il momento la politica economica è rimasta più o meno eguale a quella di Sarkozy: concessioni al padronato (20 miliardi), insistenza sul recupero di competitività , accordo sul lavoro che permette licenziamenti più facili e che divide i sindacati, il tutto condito con un giro di vite fiscale che ha colpito soprattutto le classi medie.
La svolta del rilancio resta un miraggio, anche perché Hollande ha confermato che la sua priorità è l’alleanza con il padronato («nulla potrà farsi senza le imprese e ancora meno contro di esse», ha dichiarato a ottobre). Il Pil intanto cala, e un appello a «farla finita con la trojka antidemocratica» è venuto ieri anche da Hannes Swoboda, presidente del gruppo S&D dell’Europarlamento.
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