Mondi possibili (oltre la piazza)

by Sergio Segio | 7 Aprile 2013 7:55

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Era il 1958 quando usciva in Italia Il disco di fiamma, romanzo d’esordio di Philip K. Dick. La trama: in un sistema solare colonizzato dall’uomo, l’elezione del governo dell’umanità  avviene mediante una raffinata lotteria. Tutti, in pratica, hanno il diritto (meglio: la fortuna) di essere eletti a capo dell’universo. Una sorta di «uno vale uno» al quadrato verrebbe da dire, estremizzando il motto del Movimento 5 Stelle. Oggi, 55 anni dopo, la storia ha un’eco ironica, visto lo scontro politico-culturale in Italia: una democrazia rappresentativa ormai logora e un tentativo di democrazia diretta che, alla prova del governo, mostra evidenti limiti (deputati grillini che votano contro le decisioni della «base» e così via).
Mai come in questi tempi antipolitici la «piazza» è tornata a urlare. È dunque particolarmente atteso l’appuntamento con la Biennale Democrazia 2013, a Torino dal 10 al 14 aprile. Con l’intervento, in apertura, del presidente della Camera Laura Boldrini, ecco cinque giorni di discussioni, spettacoli e interventi raccolti sotto l’«ombrello ideologico» dell’utopia. «Utopico. Possibile?» è il filo che unirà  le riflessioni sui diritti giuridici e civili, sulle cure mediche e, soprattutto, sulle nuove forme di rappresentatività . È davvero possibile una democrazia diretta, fondata sulla partecipazione in Rete? E questi canali invisibili sono veramente neutri? Tra gli interventi di giuristi come Gustavo Zagrebelsky (il coordinatore) e di politologi come Nadia Urbinati, ci sarà  anche la voce degli «Indignados» spagnoli, forse i primi «scardinatori» della vecchia democrazia. Ruth Martà­nez, rappresentante del movimento, non si fa illusioni: «La democrazia diretta è un obiettivo difficile, da perseguire a piccoli passi, per errori e aggiustamenti. Magari cominciando da realtà  più piccole, come i comuni». Cieca fiducia nella Rete? Neanche per idea. «Al momento — continua Martà­nez — meglio non fare totale affidamento su Internet per questi scopi. Questo metodo aumenta il divario sociale: ci sono villaggi in cui il web non esiste ancora».
L’assessore torinese alla Cultura Maurizio Braccialarghe parla di un «laboratorio pubblico permanente» e come sennò conciliare l’idea di utopia/democrazia di Giorgio Gaber (al quale è previsto un omaggio) con quella di Wikipedia, l’enciclopedia nata «dal basso» che verrà  discussa in un dibattito sulla cittadinanza digitale? I confini della partecipazione tornano dunque in scena. C’è il nodo dell’informazione (ne parleranno, tra gli altri, anche Paolo Mieli, Lucia Annunziata e Mario Calabresi), messo seriamente in discussione dai paladini della trasparenza e dello «streaming», per i quali l’intermediazione è cosa del passato; c’è il nodo di una lingua capace di accogliere le identità  di tutti (non illudiamoci: mai come in questo momento il problema del linguaggio è importante, visto che Internet semplifica, amplifica, diffonde viralmente i concetti). Della lingua parleranno Beppe Severgnini e Gian Luigi Beccaria al Teatro Carignano, ma spazio verrà  dato anche, ovviamente, al potere popolare in tempi di predominio finanziario, nell’era della misurabilità  di ogni cosa. Epoca che, ironia del caso, ci riporta alla definizione che della democrazia diede Borges: «Un curioso abuso della statistica».
Ma si fa prepotente il tema di Internet come diritto fondamentale, visto che oggi appare lo strumento più naturale per una partecipazione piena. Il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ne parlerà  con Stefano Rodotà  e Juan Carlos De Martin, proprio nei giorni in cui l’Italia è al centro di un fervido dibattito sulla presunta neutralità  della Rete. Annoso problema. Già  nel 1985 Steve Johnson metteva in guardia sul fenomeno del co-shaping, ossia l’influenza reciproca tra tecnologie e società  (nessun sistema informatico sarà  del tutto avulso dai principi di chi lo ha creato). La stessa Ruth Martà­nez avverte: «Oltre ad una separazione tra chi ha accesso alla Rete e chi no, al momento esistono rischi come la possibile manipolazione del voto. In questo, concordo con Richard Stallman, fondatore del Movimento per il Software libero, il quale paventa i pericoli di fornire troppe informazioni ad un sistema difficile da controllare».
A Biennale Democrazia si affronterà  anche il giusto approccio all’eugenetica e le decisioni (collettive) sulle Grandi opere. Ma si cercherà  anche di definire la fisionomia di una democrazia moderna. «È necessaria una distinzione tra i tempi della Rete e quelli della politica», commenta Eric Jozsef, corrispondente in Italia di Libération, che a Torino parlerà  di «libertà  e rispetto». Per il giornalista francese, infatti, la politica (che della democrazia è uno strumento) ha bisogno «di momenti di non trasparenza, di negoziato consapevole, che non vuol dire inciucio, ma equilibrio. Una consultazione in streaming come quella che abbiamo visto tra Bersani e i capigruppo dei 5 Stelle non è politica, ma è rappresentazione, recita». L’ossessione della «stanza di vetro», dunque, rischia di evocare quel passaggio delicatissimo e molto discusso che in Platone porta dalla democrazia alla tirannide: la rincorsa forsennata al consenso, l’intransigenza fine a se stessa, il ripiegarsi della democrazia sul proprio ombelico. Quando invece, come dice Jozsef, la democrazia è simile a un «corpo umano, qualcosa che deve crescere, mettersi in discussione, cambiare, se necessario. Nel caso Assange, per dire, la trasparenza assoluta ha creato problemi». La sensazione è che la democrazia ai tempi del digitale sia ancora una gaberiana utopia: «Per ogni assillo, rovello sociale, sembra che la gente goda: tutti che dicono la loro».
Roberta Scorranese

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