Ma per il Paese il tempo è scaduto
I pochissimi gesti che potevano far sperare in un’inversione di tendenza sono stati progressivamente sepolti da un incredibile annaspare e da una ottusa riproposizione di antichi vizi. Le idee programmatiche essenziali messe finalmente in campo dal centrosinistra dopo la afasia della campagna elettorale sono state presto sepolte dal ritorno alle vecchie pratiche: un altro regalo alla demagogia dell’antipolitica, e solo l’organica incapacità di proposta del Movimento 5Stelle impedisce per ora una sua ulteriore crescita. “Beato quel paese che non ha bisogno di comici per essere credibile”: non lo ha detto un raffinato seguace di Brecht ma il comico Enrico Brignano a “Invasioni barbariche”. Qui c’è forse la sintesi del dramma che stiamo vivendo, la “rivelazione” della mistificazione che è sotto i nostri occhi. O meglio, sui nostri schermi e in palazzetti della politica sempre meno credibili. Certo, è più facile tentare di dialogare con l’indialogabile Beppe Grillo (o cercare qualche dialogante fra i suoi deputati) che dare risposte alla questione vera: perché un geniale demagogo da palcoscenico e una rispettabile adunata di boy scout, un po’ impacciati sui fondamentali della democrazia, sono diventati la Corazzata Potemkin del nostro affondare? Dell’affondare della nostre istituzioni e del nostro rispetto per esse, voglio dire.
Eppure non è difficile comprendere quale sia l’unica via che il centrosinistra può provare a percorrere, pur fra le enormi difficoltà che il suo stesso annaspare fa aumentare ogni giorno. Non può essere, occorre dirlo con franchezza, la via delle “larghe intese” con il Pdl, e non solo per l’improbabile accostamento del condannato e plurindagato di Arcore con Aldo Moro. Esse presuppongono l’esistenza di una “destra normale” che purtroppo non è all’orizzonte: al di là di ogni buona intenzione o ispirazione non è possibile rimuovere questo dato di fondo, e andrebbe avviata anche una riflessione più ampia e pacata sul fallimento della proposta di Mario Monti. Anche per altre ragioni, inoltre, non appare pertinente l’evocazione del “compromesso storico” o della sua impropria ed accidentata applicazione nell’Italia del delitto Moro. Val la pena semmai di ricordare che quella proposta – di nobile derivazione togliattiana – non nacque all’indomani del golpe cileno ma almeno due anni prima, nel clima determinato dalla “strategia della tensione” e dal corposo spostamento a destra che essa sembrava indurre. Nel settembre del 1971 Berlinguer presentava così alla Direzione del Pci l’impostazione del Congresso allora in preparazione: “Come si può andare avanti effettivamente in un Paese come l’Italia senza scatenare una reazione che stronchi questa spinta in avanti?”. E nella relazione a quel Congresso, nella primavera del 1972, affermerà appunto che “una prospettiva nuova può essere realizzata solo con la collaborazione tra le grandi correnti popolari: comunista, socialista, cattolica”. Non è possibile rimuovere quello scenario, imparagonabile con l’oggi. E non è possibile ignorare che lo stesso Berlinguer decreterà nella maniera più impietosa il fallimento di quella ipotesi: è infatti impossibile dialogare con partiti ridotti a “camarille, ciascuna con dei boss o dei sotto-boss”, come dirà ad Eugenio Scalfari nel 1981. Da allora quella degenerazione ha superato ogni limite ed ha prodotto le catastrofi che sono sotto i nostri occhi.
Altro ha chiesto il voto stesso del Paese, e a quell’esigenza occorre rispondere. Occorre, perlomeno, muovere qualche passo in quella direzione ma il poco che il centrosinistra ha detto sin qui è stato presto smarrito per via, nello scorrere di giorni irresponsabilmente sciupati. È altrettanto irresponsabile che siano ancora avvolte da fitte nebbie le sue proposte reali su due questioni centrali.
Mancano ormai pochissimi giorni all’elezione del presidente della Repubblica ed è incomprensibile che il centrosinistra non abbia indicato al Paese – in primo luogo al Paese, e non in diretta streaming – un nome di altissimo profilo e indiscutibile per la più alta carica dello Stato. Negli ultimi vent’anni, di fronte all’anomalo irrompere dell’antipolitica e dell’antidemocrazia dei Berlusconi e dei Bossi, è venuta dal Quirinale la difesa più sicura e preziosa delle nostre istituzioni e del nostro stesso sentire civile. È venuta da tre Presidenti – Scalfaro, Ciampi e Napolitano – la cui storia e cultura rinviano al nostro momento fondativo e che hanno fatto comprendere bene cosa sia il “patriottismo costituzionale”: non è facile ma neppure impossibile continuare su questo solco, e il centrosinistra non può più attendere neppure un minuto per fare la sua proposta. Per farla al Paese.
Vi è poi il nodo di Palazzo Chigi, e qui il tempo è ancor più gravemente scaduto. All’indomani stesso del voto solo una cosa era evidente, e riguardava il doppio ruolo di Pierluigi Bersani. Come candidato premier non aveva convinto gli elettori e non era quindi più proponibile per quell’incarico. Era però il segretario del partito con il maggior numero di consensi: spettava in primo luogo a lui, dunque, avanzare proposte diverse. Così non è stato, e il centrosinistra ha dilapidato con ostinazione il parziale vantaggio che gli elettori gli avevano dato. Oggi sembra quasi ostaggio del centrodestra sconfitto, e ha ridato fiato ad un Berlusconi che può sopravvivere solo grazie alla paralisi della politica. A questa paralisi, a questa palude il centrosinistra non può più contribuire neppure per un secondo e anche per Palazzo Chigi deve fare la sua nuova, e vera, proposta. Ogni ulteriore attesa sarebbe di gravissimo danno per tutti.
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