L’urlo disperato della moglie del Nobel “Qui da noi in Cina nessuno è libero”

by Sergio Segio | 24 Aprile 2013 6:29

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PECHINO â€” «Dite a tutti che non sono libera, qui nessuno di noi è libero, nemmeno io. Quando ti dicono che lo sono, io rispondo che non lo sono. Mi mancate tutti, grazie per il vostro sostegno». Poche parole, gridate dall’auto in corsa della polizia politica che la conduce ad assistere all’ennesimo processo, questa volta contro il fratello Liu Hui. Così, dopo due anni e mezzo di mistero, riappare per la prima volta in pubblico per qualche minuto Liu Xia, 53 anni, scrittrice e moglie del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo. Ancora più magra e minuta rispetto all’ottobre 2010, mani giunte nel saluto buddista, berretto di lana nera, come sciarpa e giacca a vento, per proteggersi da un freddo che a Pechino in realtà  è finito con l’inizio della primavera. Liu Xia però non può saperlo: è agli arresti domiciliari, priva di un’accusa e di un processo, colpevole solo di aver sposato un intellettuale che avrebbe scelto la via del dissenso politico, firmando “Charta 08”.
Davanti all’ingresso del tribunale, nel distretto di Huairou, periferia nord di Pechino, alcuni operatori di tivù straniere riescono ad avvicinarla di nuovo e le immagini fanno il giro del mondo. Liu Xia ripete il suo appello essenziale per la libertà  e contro la prigionia. Parole semplici, pronunciate senza drammatizzare i toni, quasi sorridendo con gli occhi buoni. Il suo volto ora è però piegato dalla sofferenza, i grandi occhiali squadrati le ballano sul naso e togliendosi il berretto per il caldo dimenticato scopre un capo totalmente rasato, da detenuto. La censura del partito oscura subito riprese e frasi di Liu Xia, stranamente lasciata parlare qualche istante davanti alle telecamere,
come già  aveva cercato di impedire ai cinesi di sapere che il marito, “rieducato” per tre anni dopo il massacro in piazza Tienanmen, aveva vinto il Nobel andato
anche al Dalai Lama. Impossibile però oscurare la Rete e così il dramma dei coniugi Liu, oltre che nel resto del pianeta, riesplode anche nel sottosuolo della
super-potenza che i nuovi leader hanno promesso di riformare. Liu Xia, di prima mattina, era stata fatta uscire di casa affinchè assistesse dal vivo alla condanna
del fratello, accusato di una truffa milionaria in un affare immobiliare. «Indizi inventati e senza prove — dice l’avvocato Mo Shaoping — per punire una volta di più la famiglia del Nobel incarcerato che imbarazza il potere». Liu Hui, arrestato a fine gennaio, si è dichiarato innocente e Liu Xia in aula è tornata a invocare, come per il marito, un «processo giusto sottratto agli obbiettivi del partito ». La scrittrice appare in buona salute, ma i parenti confidano che il suo aspetto tradisce «un esaurimento estremo» indotto dalla repressione. E’ ai domiciliari dall’11 ottobre 2010, pochi minuti dopo l’annuncio del Nobel a Liu Xiaobo. Non ha potuto ritirare il premio a Oslo, quella “sedia vuota” è diventata l’icona contemporanea del regime, mentre dopo mesi di pressioni può visitare il marito in carcere una volta al mese. Ogni venerdì, scortata dagli agenti, esce un’ora di casa per fare la spesa nello spaccio del quartiere. Chi ha tentato di andarla a trovare, come l’attivista Yang Kuang ai primi di marzo, è stato arrestato. L’assenza di un’accusa qualsiasi, anche inventata, ha trasformato il sacrificio di Liu Xia, detenuta in quanto moglie, in un simbolo della lotta per i diritti civili in Cina, al livello dello stesso Liu Xiaobo. E il suo destino la accomuna ora all’archistar Ai Weiwei, punito per aver denunciato lo scandalo delle «case di tofu» dopo il terremoto di cinque anni fa nel Sichuan. Una beffa. Laggiù la terra sabato ha tremato ancora, altre vittime, altri dissidenti esclusi dagli aiuti, altre accuse censurate: mentre il sisma della denuncia-lampo di Liu Xia, riemersa pochi istanti dal nulla per chiedere di non essere dimenticata, torna a imbarazzare la quinta generazione degli
eredi di Mao Zedong.

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