«Uccisi dallo Stato» Contestata Boldrini
CIVITANOVA MARCHE (Macerata) — «Pagliacci», «assassini», «andate via», «vergogna», davanti a Palazzo Sforza, la sede del Comune, si levano le voci di isolati contestatori verso il neopresidente della Camera, Laura Boldrini, marchigiana doc, venuta a rendere omaggio nel giorno dei funerali alle salme di Romeo Dionisi, di sua moglie Annamaria Sopranzi e del fratello di lei Giuseppe, i tre suicidi di Civitanova, morti di crisi e disperazione. In città la tensione è altissima. La Boldrini è visibilmente commossa, «sono venuta a esprimere solidarietà alle famiglie, al territorio, alle Marche», dice, molta gente l’applaude, lei cita papa Francesco, «la politica dev’essere servizio, altrimenti è inutile» e confessa, dopo anni trascorsi in giro per il mondo a battersi per i diritti degli ultimi, che non s’aspettava di ritrovare un’Italia tanto affaticata, così piegata dalla crisi, con tante famiglie normali in difficoltà . La riceve in Comune il sindaco di centrosinistra, Tommaso Claudio Corvatta, che a gennaio scorso aprì la porta di casa sua a una famiglia di Rom senza tetto e ora viene contestato anche lui da uno striscione («Corvatta e Boldrini aiutate gli stranieri a vivere e gli italiani a morire»). Situazione pesante. «Dobbiamo dare risposte concrete ai cittadini», ammonisce la presidente della Camera. E il sindaco Corvatta accetta la sfida, ricorda che lui stesso s’è già ridotto l’indennità per destinare il più possibile ai servizi sociali, «ma lo Stato non deve lasciare soli i Comuni…», avverte.
All’obitorio la Boldrini abbraccia le famiglie distrutte, si trattiene qualche minuto nella camera ardente con Gianna Dionisi, la sorella gemella di Romeo il muratore, travolto dai debiti: «Signora, non vi lasceremo soli», le promette. Gianna è piuttosto arrabbiata con le autorità , ma ringrazia la Boldrini per la sua presenza discreta. Il funerale si svolge qualche ora dopo, nella parrocchia di San Pietro, quando il presidente della Camera è già ripartito. Peccato, perché l’omelia del vescovo di Fermo, Luigi Conti, è potente: «Romeo, Annamaria e Giuseppe ci hanno lasciato un biglietto chiedendoci di perdonarli per il gesto che hanno compiuto, ma siamo noi invece che dobbiamo chiedere perdono a loro», attacca il monsignore, che chiama in causa i cittadini di Civitanova, li invita a farsi da domani «custodi gli uni degli altri», a «uscire dall’indifferenza reciproca», a non restare «esiliati nelle proprie case», ma a «reagire, a vivere in comunione, a tendersi la mano».
Il racconto che fa don Luigi Conti della provincia marchigiana è quasi terrificante: «Noi diamo già tante risposte alle povertà — rivela — abbiamo due sedi Caritas molto attive. Eppure negli ultimi tempi mi sono spaventato perché ha cominciato a venire da me, a chiedermi aiuto, non più solo gente normale, operai, contadini, ma vengono da me gli imprenditori, che mi chiedono una commessa, un lavoro, perché hanno decine di famiglie che dipendono da loro e rischiano da un giorno all’altro di perdere tutto». Come hanno perso tutto, da un giorno all’altro, Romeo Dionisi, Annamaria e Giuseppe Sopranzi, persone oneste e dignitose, finite nel baratro.
La conclusione dell’omelia di don Conti è rivolta ai palazzi romani, così distanti da qui: «Alle autorità , a chi ci governa dico: si faccia presto, decidete, rendetevi conto che noi non ce la facciamo più». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato una corona di fiori. È sistemata dietro a due carabinieri in alta uniforme. Il sindaco Corvatta è venuto in chiesa con la fascia tricolore, fuori c’è ancora qualche contestatore e allora l’autista del governatore delle Marche, Gianmario Spacca, va dal capitano dei carabinieri Domenico Candelli, che coordina l’ordine pubblico, per farsi consigliare una via d’uscita lontano dai fischi.
Precauzioni inutili, perché più che la rabbia è il dolore il sentimento che prevale, la piazza ammutolisce davanti alle tre bare in partenza alle cinque della sera verso la terra del cimitero di Civitanova Alta. Le esequie le ha pagate il Comune, il fioraio Pellegrini non ha voluto un euro per tutti i vasi disposti in chiesa. In tanti volevano bene a Romeo, Giuseppe e Annamaria. Se avesse saputo, probabilmente, questa città li avrebbe aiutati. Ma sono cose che si dicono sempre dopo, quando ormai non serve più.
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