by Sergio Segio | 10 Aprile 2013 6:32
ROMA — Quello che di «positivo» è uscito è che «si è aperta una possibilità di dialogo diretta tra me e Bersani». Ed è un risultato che Silvio Berlusconi non esita a considerare tra le poche cose buone finora ottenute in questi quasi 50 giorni di stallo e terribile difficoltà della politica.
Parlando ai suoi riuniti a sera a Palazzo Grazioli per un secondo round di confronto dopo quello già tenuto a pranzo, il Cavaliere ammette che un passo avanti si è compiuto, per il solo fatto di essere tornato al centro della scena come interlocutore essenziale perché la legislatura prosegua o, se accordo non sarà , si interrompa. E non solo. Certo, a differenza di quella che era la richiesta del Pdl — affrontare contestualmente elezione del capo dello Stato e formazione del governo — si è deciso di seguire il metodo indicato dal Pd: una cosa per volta, si comincia dal Quirinale. Ma la chiacchierata, prima a quattro con Alfano e Letta poi a due col solo Bersani, è stata comunque «cordiale e prodromica di nuovi incontri». Insomma, si tratta di un vis à vis «interlocutorio», come lo definisce Paolo Bonaiuti, ma qualche punto fermo è già stato messo.
Sarà il Pd a stilare una rosa di nomi, questo è stato l’approccio — sembra accolto — dall’ex premier. Ma, ha rivendicato con Bersani e raccontato ai suoi, «dovrà trattarsi di una persona di grande competenza istituzionale e di seria esperienza politica, come lo è stato Giorgio Napolitano, e non una scelta a caso». Anche se, giurano da entrambe le parti, nomi finora non se ne sono fatti.
È dunque un passo avanti l’incontro di ieri o può essere solo una tappa di un percorso che può interrompersi da un momento all’altro? Nel Pdl nessuno osa scommettere. «Noi — dice Maurizio Gasparri — intanto siamo andati per ascoltare. Vedremo le prossime mosse». Perché una cosa resta chiara: Berlusconi e i suoi ritengono che se anche si individuasse assieme una figura di garanzia che vada bene a tutti, una personalità alla quale non si può dire no, e dunque la si votasse congiuntamente, questo non sarebbe un lasciapassare a Bersani per qualsiasi ipotesi di governo il Pd avesse in mente. Insomma, se l’offerta sul governo resterà quella che in mattinata Bersani ha fatto intendere nei suoi discorsi in tivù ad Agorà — un esecutivo di minoranza senza ministri del Pdl ma sostenuto da tutte le forze «responsabili» del Parlamento, una sorta di riedizione del governo della «non sfiducia» di Andreotti nel 1976 — per il Pdl sarà «molto, ma veramente molto difficile» siglare un’intesa, perché «non accetteremmo mai che il Pd con i 5 Stelle faccia le leggi contro di noi e con noi quelle di responsabilità per sostenere l’economia del Paese». «Diciamo la verità — dice Fabrizio Cicchitto — le parole di Bersani in tivù non sono state simpatiche…». E dunque al nuovo capo dello Stato — qualora sul governo di condivisione Bersani non cedesse — il Pdl potrebbe chiedere di «andare al voto o comunque sarebbero i numeri stessi a indicare che l’unica strada percorribile è quella delle urne». Per dirla con Daniela Santanchè, «bene che si discuta, ma il voto non è affatto un’ipotesi tramontata».
Il cammino dunque è ancora lungo, e soprattutto accidentato. Il che non significa che Berlusconi non stia davvero tentando di raggiungere un accordo, pur tenendosi aperta anche la porta della rottura se le garanzie non arriveranno. Ma la novità è comunque evidente: potrebbero aversi due passaggi, uno per eleggere assieme il presidente di garanzia, l’altro per tentare di fare un governo. E l’eventuale buon esito del primo passaggio non porterà il Pdl con la coda tra le gambe ad acconciarsi ad accettare qualunque schema sul governo. Perché la «volontà di venirsi incontro forse c’è», commentano da via dell’Umiltà , ma «fino a che punto il Pd riuscirà a muoversi dalle posizioni di partenza non lo sappiamo, e non sappiamo se sarà sufficiente».E allora c’è un perché se in questa fase si mostra più la mano tesa che i muscoli: il timore è che in caso di accordo mancato per il Quirinale al Colle venga votata una figura «a noi ostile», magari con apporto di grillini sparsi, che si trasformi in viatico per un governo Bersani con pezzi del Movimento 5 Stelle: lo scenario peggiore per il Pdl.
Paola Di Caro
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