«No al governissimo, sul Colle intesa ampia»

by Sergio Segio | 3 Aprile 2013 6:55

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ROMA — «C’è qualche problema che riguarda il mio nome? Se c’è ditelo, perché io non l’ho sentito…». Pier Luigi Bersani è tornato e chi si aspettava un passo indietro dovrà  invece fare i conti con un segretario che porterà  il Pd «fino al congresso» e con un presidente incaricato che non ritiene esaurito il suo mandato esplorativo. E spera forse di poter rientrare in gioco, magari grazie al prossimo capo dello Stato.
Il breve ritiro pasquale in quel di Bettola — la cittadina natale sulle colline piacentine da cui, il 14 ottobre, aveva lanciato la sfida delle primarie — è servito al segretario per smaltire le delusioni, chiarirsi le idee e convincersi ancor più che la stretta via per la quale si è incamminato resta quella giusta: «Affiniamola, discutiamola, ma l’unica pista realistica è lavorare a doppio registro».
Napolitano «ha fatto quel che doveva e poteva fare» per tranquillizzare l’Europa e lui non si metterà  di traverso. Il fallimento delle consultazioni ha mutato il quadro politico, eppure il traguardo di Bersani resta lo stesso: entrare a Palazzo Chigi da premier, alla guida di un «governo del cambiamento». Di certo non gli sono sfuggite le ironie sul presidente «congelato» che imperversano sul web. E però il segretario, convinto di avere il partito dalla sua e confortato dai fedelissimi come Letta, Migliavacca, Errani e Gotor, ritiene ci sia ancora margine di manovra. E così rilancia la sua proposta e smentisce di essersi intestardito su una mission impossible: «Non mi si raffiguri come il Bersani ostinato, perché non ho nemmeno messo il nome sul simbolo. No, io ho in testa quella che credo essere una soluzione per il nostro Paese… E sono qua». Ma il preincarico, che fine ha fatto? «Io immagino che sia assorbito in questa nuova fase — sceglie con cura il termine il segretario —. Ma non vado al mare. Io ci sono, non intendo essere un ostacolo, ma ci sono». Ed è la prima volta che allude a un possibile passo indietro: «Se Bersani fosse un ostacolo è a disposizione, perché prima di tutto c’è l’Italia». Nell’entourage di Berlusconi si soppesano le parole del segretario per capire quale sia il grado di apertura verso l’ipotesi delle larghe intese, ma in realtà , al di là  dei toni un po’ più morbidi (che sono stati apprezzati), Bersani non ha offerto nulla sul fronte del governo. E Vendola, via Twitter, lo conferma: «Bravo Bersani, nessuna alleanza con Berlusconi». Niente governissimo dunque, nessun «governo Monti senza Monti» ribadisce il segretario, perché la politica non può rinchiudersi in un «fortino». Gli chiedono se sia disposto a incontrare Berlusconi e lui non si tira indietro, «certo che sono pronto», purché avvenga in campo neutro: «Non ad Arcore o a Palazzo Grazioli». Ma intanto al Pdl concede solo la promessa di ricercare una «larghissima convergenza» per il Quirinale. Se si chiede al Pd «un punto di equilibrio» bene, purché il Pdl non pretenda di indicare il successore di Napolitano: «Siamo pronti a discutere, ma non ci si detti il compito. Non è accettabile che la destra designa il presidente e noi lo votiamo». Quanto a Grillo, il segretario sembra ormai rassegnato: «Ci siamo trovati di fronte a un disimpegno conclamato del M5S».
Se è vero che Napolitano non indicherà  un altro premier — e che Bersani, come il capo dello Stato avrebbe confidato ai «saggi», non è più della partita non avendo portato numeri certi per la fiducia al Senato — al segretario non resta che guardare oltre: «Mi pare che l’indicazione del presidente della Repubblica, di 8—10 giorni di lavoro delle commissioni dei saggi, alluda al fatto che la ripartenza venga consegnata al nuovo presidente». Se aveva accarezzato l’idea di tornare alle urne, ora Bersani considera il voto anticipato «un’ipotesi disastrosa». Ci vuole un governo, è il suo motto. Ed è pura «utopia» pensare di far partire tutte le commissioni senza un esecutivo.

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