L’ira dell’ex premier: mi tiro fuori, chi mi ha portato fin qui ne risponda

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Non uno qualunque. Il fondatore del partito. L’uomo dell’Ulivo. Il padre nobile. «Io mi tiro fuori, basta, non è il caso di insistere».
Candidatura ritirata, fine della corsa al Colle per il due volte ex premier. La nota ufficiale, scritta di persona dal Professore, è lo specchio della delusione: «Il risultato del voto e la dinamica che è alle sue spalle mi inducono a ritenere che non ci siano più le condizioni». Dove, con il termine «dinamica», si intende imboscata. L’ennesima. No, non resterà  in Africa, il due volte ex premier, come qualche buontempone berlusconiano si è augurato. Tornerà  in Italia. Oggi. Con l’elmetto e la faccia dei giorni peggiori. Tradito per l’ennesima volta.
Accoltellato alle spalle, nell’ombra.
Si chiude un’era per il centrosinistra in questa notte italo-africana.
Riaffiorano antichi fantasmi. Dalemiani. Mariniani. Gruppuscoli e conventicole. Colpi bassi e complotti. Si inabissano amicizie. Saltano schemi. L’onda d’urto prodiana si abbatte inevitabilmente anche sul segretario Bersani, l’ex ministro delle lenzuolate, «l’amico Pier Luigi», quello stesso che solo ieri mattina il Professore aveva ringraziato di cuore per la candidatura, pur nutrendo più di un timore in cuor suo («L’unico Colle che ho davanti qui è il Kilimangiaro…» diceva a metà  giornata tra la battuta e lo scongiuro). Ora a Prodi bastano poche parole al cianuro, dettate dal Continente Nero, per scavare un fossato tra lui, l’uomo di Bettola e il suo sempre meno magico cerchio «al tortellino». Scrive: «Chi mi ha portato a questa decisione deve farsi carico delle sue responsabilità . Io non posso che prenderne atto». Non uno sfogo. Quasi una richiesta di risarcimento politico: al segretario, che l’ha buttato nella mischia, e soprattutto a chi l’ha impallinato nel segreto dell’urna.
Ma anche tra Prodi e il Pd nulla sarà  più come prima: anzi, forse non sarà  più, e basta. Nel 2008, dopo aver subito l’ennesimo licenziamento da Palazzo Chigi, il Professore, pur ritirandosi dalla politica attiva, scegliendo il mare magnum delle istituzioni internazionali, aveva comunque voluto ritagliarsi un ruolo da padre nobile nei confronti del «suo» Pd, pur consapevole di essere visto da tanti mandarini romani come il fumo negli occhi. Ma ora, come dicono attorno a lui, «è stato superato ogni limite». C’è modo e modo di perdere. Qui è andata della serie: «Vai avanti tu, che ti impallino…».
Pd allo sbando. Sezioni in rivolta. La notizia dell’imboscata arriva a Bamako, la capitale del Mali dove Prodi si trova da 3 giorni per una conferenza promossa dall’Onu, quando la cena a base di anatra e agnello è da poco finita. Il Professore è seduto vicino all’amico d’infanzia ed esperto di economia, Sandro Ovi.
«Nemmeno 400 voti»: una doccia fredda. I due si guardano. Ma la decisione è già  presa, mentre a Roma lo psicodramma impazza. «Si chiude qua». Si torna alla vita di tutti i giorni: «Oggi mi è stato offerto — prosegue la nota — un compito che molto mi onorava anche se non faceva parte dei programmi della mia vita. Ringrazio coloro che mi hanno ritenuto degno di questo incarico». Cala il sipario sulla «risorsa» Prodi. E a Roma si contano i danni.


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