«Imprese in trincea e l’export non ci salva»

by Sergio Segio | 11 Aprile 2013 6:54

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MILANO — Corre la rabbia sorda delle imprese. Da Treviso a Napoli, dalla Brianza alle Marche. Momenti difficili ce ne sono stati tanti in passato: la crisi degli anni 70, i primi anni 90. Ma mai il disagio è stato così forte.
Alessandro Vardanega, 47 anni, a capo della Confindustria di Treviso, parte da una presa d’atto in tre tappe: «Senza l’impresa non c’è lavoro, senza lavoro non esiste benessere. E di conseguenza anche la coesione sociale viene a mancare». Vardanega ha un’azienda che produce tegole in cotto. Il 12 e 13 aprile andrà  a Torino per partecipare al convegno biennale organizzato dai Piccoli di Confindustria. Questa volta non sarà  il solito incontro. L’appuntamento sta diventando il catalizzatore dello scontento dell’industria del Bel Paese.
«Certo, ci sarò anch’io», si unisce Franco Bertini, presidente di Confindustria Marche. «Stiamo assistendo a questo progressivo infragilimento del tessuto sociale del territorio. Creda, tutto questo a noi imprenditori fa davvero male. Il triplo suicidio di Civitanova qui ha lasciato il segno», abbassa gli occhi Bertini.
«In un contesto così drammatico dobbiamo essere chiari e categorici: interventi subito», si rianima l’imprenditore (la sua azienda, la Plados spa, produce lavelli da cucina, a Montecassiano, in provincia di Macerata, ndr;). Qualcosa si sta facendo, il decreto sui pagamenti della pubblica amministrazione, per esempio… «Sfido chiunque a capire quando Stato ed enti locali cominceranno a pagare — blocca subito Bertini —. Abbiamo pochi mesi per evitare il baratro. Il tessuto produttivo che stiamo distruggendo adesso sarà  difficile da ricostruire. Il nostro Paese sta diventando una terra arida in cui la pianta dell’impresa rischia di morire senza l’acqua del credito. E le nuove iniziative difficilmente attecchiscono».
Certo, chi esporta se la passa meglio. «È vero — interviene Andrea Dell’Orto, a capo dell’azienda di famiglia che in Brianza, a due passi da Milano, produce carburatori —. Nel nostro caso, per essere onesti, se nel 2006 non avessimo aperto uno stabilimento in India per vendere in Asia, dove c’è mercato, a quest’ora, con la domanda di auto e moto in Europa ridotta al lumicino, saremmo in una situazione critica».
Secondo Dell’Orto, anche chi si salva esportando è sfiduciato. «Ogni fornitore in difficoltà  è un pugno nello stomaco — dice Dell’Orto, 43 anni e 350 dipendenti —. Crede che faccia piacere vedere nel proprio territorio le luci delle fabbriche che si spengono giorno dopo giorno, mese dopo mese? Il manifatturiero deve restare centrale. Riduzione dell’Irap, taglio del cuneo fiscale, modifica della riforma Fornero: ecco le priorità ».
Un ricetta, quella di Dell’Orto, condivisa a ottocento chilometri di distanza anche da Andrea Funari, a capo delle Piccole di Confindustria in Campania. «Aggiungerei che le banche hanno tassi triplicati rispetto a poco tempo fa, così non si può andare avanti», completa Funari. E il problema delle infiltrazioni mafiose nel mondo dell’impresa? «Premesso che la questione ormai tocca anche il Nord, la stretta del credito rende le aziende più vulnerabili. E anche la pubblica amministrazione che non paga è complice di questa situazione».
Di fronte a una politica che non sa decidere, il mondo produttivo non ha intenzione di stare a guardare. Mette sul tavolo il suo programma. Lo stesso che il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, presentò alla vigilia delle elezioni. E sottotraccia si rivolge al sindacato: «Lasciamo da parte le diffidenze e uniamo le forze. Per sbloccare il Paese».
«Impresa e lavoro si devono alleare per competere e tirare fuori l’Italia dal pantano — conclude Alessandro Vardanega di Confindustria Treviso, a capo di un’impresa con 250 dipendenti che produce tegole in cotto —. Noi ci abbiamo già  provato. È dalla fine del 2010, quando si è capito che nulla sarebbe più stato come prima, che abbiamo fatto cadere gli steccati. Per capirci: prima delle elezioni ai candidati al Parlamento abbiamo presentato una serie di istanze comuni a tutti: dai confederali a noi di Confindustria. La politica non può sottrarsi quando le richieste sono condivise».

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