L’identikit del governo «Personalità  di spessore e che non dividano»

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ROMA — L’avrebbe voluto come suo successore al Quirinale e ora sembrerebbe volerlo come premier del «suo» governo. Napolitano insomma sarebbe orientato a scegliere Amato per Palazzo Chigi, gran parte delle delegazioni salite ieri al Colle sono scese con questo convincimento. Se non fosse che, tracciando il profilo del futuro premier durante le consultazioni, il capo dello Stato ha fatto un cenno sull’identikit che pare tagliato su misura per Enrico Letta: «Serve una personalità  che abbia esperienza ma che dia anche un segno d’innovazione». Annunciando oggi l’incarico, si capirà  se Napolitano ha tenuto conto delle «riserve» del Pd sull’ex sottosegretario di Craxi, sebbene volutamente ieri la delegazione democratica non abbia espresso preferenze sul nome del prossimo presidente del Consiglio. Al contrario di Berlusconi, che ha puntato subito su Amato, considerato una «riserva della Repubblica», che «non avrebbe bisogno di rodaggio».
Il rebus che ruota attorno al premier tiene bloccata ogni trattativa sulla squadra di governo, che avrà  un peso sulla consistenza e la durata del progetto. È vero, anche su questo punto Napolitano avrà  un ruolo, lo si è capito quando ha esposto i propri convincimenti ai leader politici ricevuti al Quirinale. Non a caso se il capo dello Stato ha parlato di un gabinetto «duraturo e di spessore», «capace di reggere alla prova del Parlamento», e composto preferibilmente da ministri che abbiano un «profilo non divisivo», che non siano cioè dei reduci di vecchie battaglie.
Ma uno spazio di manovra dovrà  garantirlo ai partiti nel negoziato sui dicasteri, a patto però — così ha chiesto — che «si faccia presto», in modo da arrivare subito al varo del nuovo esecutivo. La rapidità  d’azione deve però fare i conti con i nodi politici ancora non sciolti, perché Pd e Pdl hanno interessi contrapposti, nonostante entrambi sappiano di trovarsi sotto la spada di Damocle posta dal capo dello Stato sulle loro teste: chi dovesse giocare a far saltare il banco, ne subirebbe le «conseguenze davanti agli italiani».
E se i Democratici sono in grave difficoltà  rispetto alla prospettiva di un’intesa con il Pdl, dall’altra parte Berlusconi — eccitato dai sondaggi — continua a coltivare il sogno delle elezioni anticipate grazie ad un «regalo» del Pd, a una loro mossa falsa. Ma al tempo stesso il Cavaliere teme un accordo che serva solo a posticipare il ritorno alle urne, è preoccupato che nasca un governo di basso profilo. E chiede perciò un «patto di legislatura», con precise garanzie sul programma e sull’attività  in Parlamento, per impedire al Pd di giostrare con la «doppia maggioranza» alla Camera, dove su certi provvedimenti potrebbe incrociare i voti con M5S.
Sono questioni che ha sollevato al capo dello Stato, e dal colloquio è uscito rinfrancato, sapendo di poter partire sereno per gli Stati Uniti, dove lo attende un ritorno alla ribalta internazionale, ospite dei Bush — insieme a Blair e Aznar — per l’apertura in Texas di un museo voluto dall’ultimo presidente repubblicano, e dove potrebbe incontrare anche Obama. Ma è in Italia che si gioca la partita politica, è sul «governo di Napolitano» che si muove ancora con circospezione, in attesa delle mosse del Pd. E c’è un motivo se ha colto di buon grado la decisione di Maroni di andare all’opposizione: in ballo ci sono le presidenze delle commissioni bicamerali, e la Lega mira alla «Vigilanza Rai», cara al Cavaliere.
Per il resto il leader del Pdl deve ancora decidere quale squadra di partito mettere in campo per l’esecutivo, e non distoglie l’attenzione dalle urne. Anche in questa ottica che preferirebbe a Palazzo Chigi Amato, estraneo alla futura sfida elettorale. Perciò non si è speso a favore di Renzi, il probabile competitor, che ieri ha tentato di entrare in partita per la premiership, prima chiamando Monti, poi mettendosi in contatto con il Cavaliere.
«Caro Matteo», l’ha salutato festante il capo del centrodestra: «Noi nutriamo per te grande affetto… Ma no, ma chi l’ha detto che non saresti candidabile… Tu potresti rivoluzionare il Paese». Clic. «Non se ne parla», ha esclamato l’ex premier dopo aver chiuso la conversazione. E parlando di sé in terza persona, ha concluso: «Ci fosse stato Silvio Berlusconi al Quirinale, allora…». Ma della scelta di Napolitano è soddisfatto: «Dei tanti presidenti di sinistra, lui è un democratico. Un maestro».
Francesco Verderami


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