Le bombe in due pentole a pressione

by Sergio Segio | 17 Aprile 2013 6:37

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WASHINGTON — «A volte basta un chiodo. Trasformato dall’esplosione in un proiettile può uccidere. Ricordo il caso di una donna strappata alla vita in questo modo». Sono le parole di medico legale incontrato anni fa in Israele dopo un attentato. Metodi che tornano.
Chi ha messo le bombe alla maratona di Boston ha puntato sull’effetto lupara. Per gli investigatori gli ordigni erano composti da 2 pentole a pressione contenenti polvere da sparo e chiodi, poi chiuse in una coppia di zaini o sacche sportive. Il killer voleva «mimetizzarle» con decine di altre ed è riuscito nel suo intento. Quella della pentola a pressione non è un metodo certo inedito. In Italia fu impiegato negli anni di piombo mentre a Parigi comparve in attacchi di una cellula algerina. Nel 2010 un militante pachistano ne aveva sistemata una sulla vettura-bomba a Times Square, New York. «Inspire», la rivista qaedista online, in un articolo intitolato «Fai la bomba nella cucina di tua mamma» aveva suggerito nel 2010 l’uso delle pentole esplosive.
Storie che si intrecciano con quella di Boston. La città  si è divisa tra il bilancio dell’attacco e le indagini. Tre le vittime: Martin Richard (8 anni), Krystle Campbell (29) e una giovane laureata dell’università  di Boston, che stava terminando un corso di specializzazione. Poi 176 feriti, 19 dei quali gravi. Angoscia e lavoro duro per chi deve scoprire i responsabili. «Andremo fino in fondo alla Terra per trovarli», ha promesso l’Fbi. E lo ha ribadito il presidente Usa intervenuto di nuovo. Questa volta, forse anche per spegnere subito le polemiche, Obama — che giovedì sarà  a Boston — ha parlato di «atto di terrorismo atroce e crudele». Per la Casa Bianca «è ignoto il movente» così come non si privilegia alcuna pista. Il presidente le indicate tutte: internazionale, interna o singolo individuo. Ed ha avvertito che l’indagine sarà  lunga.
Uno scenario non ha escluso che l’obiettivo potesse essere anche il governatore democratico del Massachusetts, l’afroamericano Deval Patrick: il primo ordigno era vicino al posto dove era seduto. Target che richiama la matrice razzista, così come un rapporto del 2003 che inseriva la maratona tra i bersagli dell’estrema destra. All’opposto, altri esperti hanno rammentato che Abu Musab Al Suri, faro per i qaedisti in Occidente, aveva indicato gli eventi sportivi quali obiettivi. I talebani pachistani, invece, hanno invece preso le distanze. E l’intelligence Usa ha accompagnato la smentita sostenendo che, per ora, non sono emersi legami con Al Qaeda: «Ma tutto può cambiare». Senza mai perdere di vista la trama organizzata dal «lupo solitario», un tipo di criminale spesso presente nella cronaca americana.
Gli investigatori seguono diverse linee. La prima è quella delle bombe. Sperano di ricavare dati dai reperti, un’impronta o il Dna dell’artificiere lasciati sugli ordigni attivati con un radiocomando (anche se l’idea del telefonino resta). Materiale comprato in qualche negozio. Così nulla viene lasciato fuori sperando che l’offerta di una ricompensa di 50 mila dollari possa risvegliare le memorie. Lungo esame, poi, del traffico Internet, di qualsiasi comunicazione e delle immagini registrate dalle telecamere di sicurezza. L’Nsa ha gettato la sua immensa rete elettronica.
La seconda linea riguarda i possibili sospetti. Molte voci sullo studente saudita, ventenne, ricoverato in ospedale. L’Fbi lo considera «un testimone, una persona nel posto sbagliato al momento sbagliato» ma cerca di capirne di più. Il sito israeliano «Debka» ha scritto che farebbe parte di una cellula saudita di tre persone. Uno è il ferito, il secondo avrebbe problemi con il visto, l’ultimo sarebbe irreperibile.
Il terzo filone è quello dei testimoni. Chi indaga ha invitato i cittadini a consegnare video e foto scattate durante la maratona. Sono migliaia di ore di filmati. Iniziativa utile anche se può «sommergere» la polizia di materiale inutile o strano. Come la fotografia dell’uomo «misterioso» sul tetto di un palazzo al momento del botto. «Verificheremo anche questo dettaglio», hanno risposto gli investigatori. Che intanto hanno altre grane. Una lettera alla ricina è stata inviata ad un senatore a Washington. Gli scali di Boston e La Guardia (New York) sono stati bloccati da falsi allarmi. Un paio di aerei hanno subito controlli aggiuntivi. Passeggeri d’origine mediorientale sono stati fatti scendere. Obama ha invitato a vigilare, l’Homeland Security «a dire qualcosa se vedi qualcosa». Un coinvolgimento dei cittadini che aiuta, ma nel contempo allunga le linee di intervento della polizia.

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