L’ambiguità degli «aiuti»
Sotto occupazione si vive di meno e peggio. Come mostrano studi recenti (Lancet 2012), gli israeliani maschi vivono in media in buona salute otto anni in più (sette per le donne) dei confinanti palestinesi sotto occupazione da 65 anni. Per spiegare questo divario è necessario rifarsi a una complessità di fattori che vanno «dalla persistente colonizzazione israeliana con confisca della terra e costruzione di colonie nel territorio occupato, frammentazione di terre e comunità , mancanza di sicurezza, quotidiane violazioni dei diritti umani, inefficiente amministrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), e pesante dipendenza dagli aiuti internazionali» (Giacaman, 2009).
In tale contesto opera un sistema sanitario palestinese complesso, frammentato, dipendente dall’aiuto esterno e inadeguato ad assicurare una sufficiente accessibilità ai servizi essenziali. Complesso, perché la varietà degli attori pubblici e privati e i loro rispettivi interessi rende non facile la composizione delle forze in gioco; frammentato, perché alla divisione geografica (e non solo) tra Cisgiordania e Gaza va aggiunta l’estrema difficoltà al movimento tra città e villaggi in Cisgiordania; dipendente, in quanto il 42% dei finanziamenti del settore sanitario proviene dai paesi donatori, senza contare i finanziamenti esteri alla Anp per gli stipendi del settore pubblico.
In tale situazione, il primo obiettivo di una comunità internazionale coerente con i propri impegni dovrebbe essere di «non fare danni». Come stabilito nel 2004 dalla Corte internazionale di giustizia, i donatori nel territorio palestinese occupato (Tpo) hanno l’obbligo di non fornire aiuti che concorrano a mantenere lo status quo favorevole alla potenza occupante, di garantire il rispetto del diritto internazionale, e di non sostituirsi alla potenza occupante cui sola spetta l’onere di provvedere al benessere della popolazione occupata. Ebbene, tutto questo è esattamente ciò che succede con il conseguente perpetuo stallo e normalizzazione di una situazione inaccettabile.
Come dimostrato dalla rivista medica The Lancet (2009), che la prolungata occupazione militare, oltre a determinare condizioni di vita miserevoli e minare la coesione sociale, sia il principale ostacolo allo sviluppo di un efficiente sistema sanitario è ormai fatto scientificamente dimostrato. Un drammatico esempio è rappresentato dalla mortalità infantile che tra il 2000 e il 2006 ha raggiunto un livello sette volte maggiore tra i bambini palestinesi rispetto a quelli israeliani (27 per mille rispetto a 3,9 per mille) nonostante le due popolazioni vivano pochi chilometri l’una dall’altra. Per ogni bambino israeliano che muore, sette palestinesi perdono la vita. «La scienza è politica» ha affermato il direttore della rivista, Richard Horton, «voglio usare la scienza come strumento politico per promuovere la giustizia sociale».
* Medico, esperto di cooperazione sanitaria
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