by Sergio Segio | 9 Aprile 2013 6:25
MILANO — Non hanno il lamento facile gli industriali lombardi. Questa volta, però, la corda deve essere davvero vicina a spezzarsi. Ieri tutti i presidenti delle dodici associazioni di Confindustria in Lombardia si sono riuniti per lanciare insieme un appello: «Non resta molto tempo. Serve un governo. Subito. In grado di affrontare l’emergenza. E di fermare l’emorragia delle imprese che affligge il sistema produttivo».
Le voci sono diverse ma per livello di sintonia potrebbero essere una soltanto. Giovanni Maggi, presidente di Confindustria Lecco, territorio «forte» nel tessile e nella metalmeccanica: «Senza una politica che metta al centro le imprese siamo alla fine. I piccoli stanno chiudendo». Renato Cerioli, Monza a Brianza, area d’elezione per l’industria del mobile: «Sempre meno multinazionali si insediano da noi. La tassazione uccide le imprese. E per sopravvivere molti scelgono di traslocare in Austria, Slovenia, Svizzera». Franco Bosi, Confindustria Pavia: «La fragilità delle imprese rende più facili le infiltrazioni da parte della criminalità organizzata». Guido Venturini, direttore Confindustria Bergamo (meccanica, chimica, gomma): «Resistono solo le imprese che vendono all’estero, soprattutto in Germania. Gli altri sono in trincea».
Vista da Milano, l’Italia è come un malato salvato in extremis. E ora abbandonato a se stesso. «Stavamo per annegare nello spread, siamo stati presi per i capelli dal governo Monti, che ci ha fatto tirare fuori la testa dall’acqua», esemplifica Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, territoriale di Milano. «Ora, senza cure, siamo a rischio esattamente come prima — continua Meomartini —. Il sistema non demorde, basti pensare al salone del Mobile di Milano. Ma l’emergenza è straordinaria, non possiamo andare avanti così».
Alla fine, che cosa chiede l’industria lombarda? «Serve un governo. Chiamatelo di scopo, del presidente o in qualunque altro modo. Ma un governo. Le elezioni in questo momento sarebbero un suicidio», va al sodo Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia.
La fibrillazione degli imprenditori del Nordovest è in sintonia con la percezione della situazione che hanno i «colleghi» nel resto del Paese. Confindustria manifesta forte e chiaro questo disagio alla classe politica. Anche attraverso l’acquisto di pagine di pubblicità sui giornali. Slogan: «Tempo scaduto».
Il 12 e il 13 aprile, poi, si terrà a Torino il convegno biennale della Piccola Impresa di Confindustria. L’evento ha le carte in regola per trasformarsi nel catalizzatore della rabbia dell’industria in panne. E sarà anche il termometro dell’apprezzamento del decreto sui pagamenti della pubblica amministrazione.
«L’emergenza di oggi è esattamente come quella del novembre 2011», scandisce al telefono Vincenzo Boccia, presidente delle piccole imprese di Confindustria. E giù i dati dello sconfortante bilancio della crisi: «Dal 2007 a oggi abbiamo perso otto punti di Pil. Intanto i disoccupati sono raddoppiati: oggi hanno raggiunto quota 3 milioni. Nel 2012 in media hanno chiuso 41 imprese ogni giorno solo nel manifatturiero».
Certo ripetere i numeri non cambia le cose. «Speriamo che qualcuno adesso ci presti attenzione — continua Boccia —. Subito, però. L’economia reale non può attendere i tempi della politica e della burocrazia. Dopo la campagna elettorale abbiamo assistito a un ulteriore calo dei consumi. L’incertezza è totale, non c’è visione. Dobbiamo affrontare il problema una volta per tutte, prima di arrivare alla paralisi».
Le parole di Boccia come quelle del presidente di Confindustria Lombardia lasciano intendere la volontà in questa fase di un’apertura al mondo del sindacato. Come dire: «Mantenere l’impresa e il lavoro è un interesse condiviso. Questa è una battaglia che si potrebbe, anzi si dovrebbe fare insieme».
La Confindustria «di protesta e di proposta» che sta prendendo forma in vista dell’appuntamento di Torino ha una interprete anche in Licia Mattioli, presidente della territoriale del capoluogo piemontese. «Serve un governo subito. Di scopo o meno, bianco, rosso o giallo. Ma un governo con una politica industriale — si scalda Mattioli —. Facciano presto, i politici. Altrimenti a breve non avranno più nulla da governare».
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