La staffetta Interno-Giustizia pedaggio imposto dal Cavaliere

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ROMA â€” L’effetto sorpresa è potente, sia al ministero dell’Interno che in quello della Giustizia. Nonostante i boatos, nessuno al Viminale si aspettava che Anna Maria Cancellieri se ne andasse. Nemmeno lei pensava davvero di essere catapultata alla Giustizia. Lo ammette, nelle prime telefonate: «È un mondo nuovo, tutto da scoprire. Ma come ho sempre fatto, anche a questo incarico mi accosto con senso istituzionale ». Un prefetto in via Arenula, e già  tra le toghe qualcuna storce il naso perché un ex ministro delle polizie, che pur ha fatto bene in un incarico difficile, dovrà  assicurare una funzione di garanzia. Pare, di primo acchito, una commistione dal sapore indigesto. Foriera di qualche pericolo. Lei, Cancellieri, sfodera subito la sua “arma” principale, quella che ha usato tante volte da prefetto, il dialogo e il confronto. Lo dice subito: «Sono a servizio dello Stato, vado dove mi chiamano per fare cose utili per il mio Paese». Preoccupata per questa poltrona da sempre caldissima? Replica con voce assolutamente tranquilla: «È una nuova sfida e la accolgo con molta umiltà , semplicità  ed impegno». I magistrati temono un prefetto di ferro. Lei ride: «Ma io ho sempre avuto e ho tuttora ottimi rapporti con loro. Ho tante cose da imparare e li ascolterò molto. Su questo possono star sicuri». Che ne pensa dei processi di Berlusconi e della loro possibile conclusione? Si farà  un’amnistia? La voce di Cancellieri non cambia, la sua risposta è realistica: «Fatemi almeno arrivare lì…». Poi anticipa una successiva domanda: «Una cosa ci tengo io a dirla. In questo momento bisogna augurare buon lavoro al governo, l’Italia è in una situazione estremamente difficile e bisogna far quadrato per il bene del Paese e superare le frizioni».
È fatta così Cancellieri. Difficile farla precipitare nelle trappole. Inutile chiederle come vede, già  da ora, il tandem con il prossimo ministro dell’Interno, e suo successore, Angelino Alfano. Un ruolo imposto da Berlusconi, che da giorni si batteva per appropriarsi del Viminale. Al punto da sacrificare l’ex vice presidente del Csm Michele Vietti per salvare Cancellieri. Con la quale è inutile mettere sul tavolo la questione che, già  in queste ore, tutti si pongono nel tetro palazzo del Viminale. La stessa che era cominciata a circolare quando, due giorni fa, s’era ipotizzato che a diventare ministro potesse essere l’ex presidente del Senato Renato Schifani. L’interrogativo è semplice, e naturalmente riguarda Berlusconi, i suoi processi, la sua precaria situazione giudiziaria, soprattutto le eventuali indagini future. Un alto funzionario, che ovviamente chiede l’anonimato per le cose che dice, parla così: «Alfano? Proprio lui? L’ex Guardasigilli che si è battuto per fare il lodo blocca-processi che porta il suo nome? Quello che voleva togliere ai magistrati la possibilità  di fare le intercettazioni?
E che ci viene a fare qui? Perché ce lo hanno mandato? Arriva forse per bloccare in anticipo le future inchieste sul suo ex premier? Ha avuto l’ordine di raccogliere utili informazioni e dossier?».
C’è allarme nel palazzo. Né tranquillizza la prima battuta del neo ministro lanciata via tweet: «È un grande onore servire il mio Paese da ministro dell’Interno. Un solo rammarico: mi avrebbe fatto tanto piacere lavorare con Antonio Manganelli (il capo della polizia scomparso un mese fa, ndr.)». Tra magistrati e poliziotti si fa avanti il ricordo di un Viminale antico, d’epoca democristiana, i tempi di Gava insomma, quando fare inchieste di natura politica e che riguardavano la politica, era difficile. In un palazzo in cui la catena di comando è la regola non servono neppure ordini scritti su cosa si deve o non si deve fare. È ovvio che la presenza di Alfano nella stanza del ministro rappresenta in sé e per sé una ragione di forte condizionamento.
È questa la prima preoccupazione che si coglie parlando con i magistrati. Ragionano su un ministro della Giustizia che, proprio per la sua provenienza, potrebbe essere più «debole» rispetto alle pretese di un Alfano, pure vice-premier, tuttora segretario del Pdl, uomo stretto di Berlusconi, divenuto ministro dell’Interno. Cioè colui che dovrà  confermare l’attuale capo della polizia Alessandro Marangoni, uomo fidato di Cancellieri, oppure sceglierne uno nuovo. Colui che potrà  rivoluzionarie gli altri vertici delle burocrazie della sicurezza. E mettere mano nei servizi segreti. Dai quali ovviamente, come dalle polizie, potrà  ottenere, anche senza richiederlo, importanti dossier. A questo punto la paura che serpeggia tra le toghe è che l’azione giudiziaria in sé possa essere condizionata, se non schiacciata e repressa, ancora prima di essere avviata. Tante volte è accaduto in passato. «Può accadere ancora» dicono i magistrati. Alle grane del governo — una nuova anti-corruzione, nuovi reati come l’auto-ricilaggio, un’amnistia o un indulto — si aggiunge la preoccupazione di un Viminale in cui non c’è più una figura come quella di Cancellieri. Su questo futuro incerto, destinato a mettere in imbarazzo il Pd e a scatenare i grillini, Cancellieri non dice una parola.


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