La resa neoliberista della sinistra nelle metropoli

by Sergio Segio | 24 Aprile 2013 6:47

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Da sempre critici nei riguardi dell’urbanistica «contrattata» che ha dominato la scena italiana – Della Seta ad esempio ha pagato con la mancata ricandidatura nelle liste del Pd le sue posizioni sulla vicenda dell’Ilva di Taranto e sulla legge sugli stadi di calcio -, i due autori non hanno però mai fatto parte del gruppo degli urbanisti «radicali» riunito nel sito di Edoardo Salzano (www.eddyburg.it) che ha contrastato in questi anni la demolizione dell’urbanistica.
Con grande onestà  intellettuale il libro descrive il disastro che la cultura privatistica ha prodotto nelle nostre città : «La prima domanda da porsi, dopo venti anni di radicale deregulation in campo edilizio e urbanistico… è se questa opera di smantellamento di regole, vincoli, controlli abbia dato i frutti promessi. Ha reso le città  più funzionali, più vivibili? …. La risposta è … no». 
Un’altra parte preziosa del libro interroga sulle strade da prendere per ricostruire il governo pubblico delle città . Dopo aver ricordato i meriti della cultura degli anni Sessanta e Settanta, quando si è saputo coniugare la critica dell’esistente con la costruzione dell’impianto legislativo per il buon governo delle città , Della Seta e Zanchini individuano le radici dell’involuzione culturale della sinistra nel rifiuto della città  come bene comune. E ci ricordano che mentre altre importanti città  europee hanno continuato pur nella fase economica neoliberista a praticare un approccio connotato da «un marcato interventismo del decisore pubblico in tutte le grandi scelte progettuali», da noi si è cancellata l’urbanistica.
La capitale d’Italia guidata dalla sinistra, ad esempio, è riuscita a inventare di sana pianta il mostro giuridico dei «diritti edificatori», inesistenti sotto il profilo disciplinare – come hanno sancito fondamentali sentenze della Cassazione -, ma che hanno spianato la strada al trionfo della proprietà  fondiaria. E dalla città  capitale, simbolo e guida per tutte le amministrazioni italiane, il morbo ha infettato l’Italia.
Gli autori si concentrano infine sui modi per rilanciare una nuova fase di vita delle nostre città . In primo luogo con un respiro culturalmente adeguato: «L’urbanistica italiana deve ritrovare il senso perduto della sua missione civile, recuperando il meglio, che è tanto, della sua storia anche recente e al tempo stesso evolvendo insieme ai problemi delle città ». E poi con alcune «ricette». Ne sottolineo tre.
Le città  come grandi cantieri di riqualificazione energetica ed ambientale, e cioè la cultura delle opere diffuse contrapposta alle grandi opere inutili. Una politica pubblica per dotare le città  di reti efficienti e non inquinanti di trasporto, così da colmare il ritardo che ci separa dalle città  d’Europa. Infine, una sistematica opera di messa in sicurezza del territorio. Un libro importante, dunque, perché su quegli obiettivi si dovrà  cimentare una nuova cultura delle città  ora che l’urbanistica contrattata ha svelato il suo irrimediabile fallimento.

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