La madre dei ceceni da estetista fai-da-te a fanatica dell’Islam

by Sergio Segio | 23 Aprile 2013 7:06

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WASHINGTON — Zubeidat Tsarnaev è sempre stata molto legata a Tamerlan. Il primogenito. Lo ha coccolato e seguito dall’inizio alla fine, accompagnando la sua conversione alla religione osservante. Se sono vere le parole di questa madre di 46 anni, a volte confusa e contraddittoria, Tamerlan l’avrebbe chiamata la notte della battaglia per dirle poche parole. «La polizia ci sta sparando. Mamma, ti voglio bene». Poi un silenzio sul quale farà  luce una cugina qualche ora dopo: «È stato ucciso». E da quel momento Zubeidat, con dichiarazioni a volte gridate, ha difeso i figli terroristi. 
Mentre Tamerlan è morto, il secondogenito, Dzhokhar, catturato vivo ma gravemente ferito, è stato ieri incriminato con l’accusa di aver usato insieme al fratello «armi di distruzione di massa» alla Maratona di Boston, uccidendo tre persone e ferendone 180. Respinte le richieste dei repubblicani di trattare il sospetto come un «combattente nemico» e sottoporlo, quindi, alle leggi di guerra, perché si tratta di un cittadino americano, l’amministrazione Obama ha annunciato che sarà  processato in un tribunale federale, e rischia la pena di morte. 
Ma per la madre, ovviamente, i figli sono innocenti, incastrati da qualcuno.
La storia personale di Zubeidat, secondo molte testimonianze raccolte anche dal Wall Street Journal, ha avuto un percorso tortuoso e incerto. Come quello di Tamerlan. Gli anni difficili nel Caucaso, la migrazione forzata della famiglia cecena negli Usa. Il marito, che in patria faceva l’avvocato, si adatta a riparare automobili in strada. Lavora come un mulo. Nella neve, al caldo, sotto la pioggia. Zubeidat si occupa dei quattro figli — Tamerlan, Dzhokhar, Amina, Bella — e fa l’estetista. Prima lavora per un negozio, poi riceve nella sua casa, al 410 di Norfolk Street a Cambridge. Il salotto diventa il «salone di bellezza». Si fa per dire. Alyssa Kilzer, una blogger che all’epoca era sua cliente, lo descrive. Scarpe ovunque, disordine, odore di cibo, il mare di figli e nipoti compressi in quegli spazi. La vita familiare non è facile, non lo è neppure quella negli Stati Uniti. Zubeidat e il marito Anzor combinano i matrimoni per Amina e Bella. È la tradizione. Però hanno una grana con un genero che, oltre a essere manesco, si porta in Russia i figli sottraendoli alla moglie. L’ex avvocato Anzor non si rivolge ad un collega, la risolve alla cecena. Minaccia i parenti del genero e così i nipotini tornano negli Usa. «Sapete, mio marito a volte è pazzo», confida Zubeidat.
Il vero trauma la madre lo subisce quando Tamerlan se ne va di casa perché vuole vivere da solo. «Ho pianto per giorni», confessa la donna ad Alyssa. Angoscia che aumenta dopo che il ragazzo mette incinta un’americana, Katherine, poi convertitasi per sposarlo. Il legame resta comunque solido, anzi si rafforza attorno al 2008. Tamerlan incontra ostacoli nel portare avanti i suoi progetti. I guai compattano i due che trovano conforto nella fede. Il figlio lascia perdere alcol e fumo, smette di boxare — raccontano — perché contrario alla religione ma anche per gli insuccessi. Zubeidat dimentica gonne corte, tacchi, trucchi e capelli sciolti. Indossa il velo perché è stata convinta da Tamerlan nonostante l’opposizione del marito laico. «Non potete capire come l’Islam mi abbia cambiato», spiega la donna che rivendica il merito di aver fatto riscoprire al primogenito l’importanza del Corano. In realtà  è il figlio a guidarla, lei lo asseconda accettando le teorie che le propina. E tra queste non può mancare la cospirazione dell’11 Settembre, «attacco che gli americani si sono fatti da soli». Quando la blogger le chiede le prove, la madre replica: «È la verità , Tamerlan sa tutto su questo. Puoi leggerlo su Internet».
L’esperienza americana di Zubeidat va intanto a pezzi. Nel 2011 il marito divorzia. È deluso dal figlio che ha abbandonato la boxe, è infuriato per la svolta islamista dei suoi e poi non sta bene. Torna nel Daghestan. Il figlio, sempre più preso dalla visione integralista, «ribolle». Cerca la lite su temi religiosi, alla moschea e con qualche conoscente. È un momento critico, si avvicina il famoso viaggio nel Caucaso, oggi al centro di speculazioni e indagini. Il 12 gennaio 2012 Tamerlan parte alla volta del Daghestan, dove si trattiene per sei mesi. Uno zio prova ad allontanare i sospetti di estremismo: la sua conoscenza dell’Islam sembrava superficiale, a volte la moglie nei collegamenti Skype lo correggeva. L’intelligence ha un’idea più allarmata, anche se per ora la polizia dice che i due hanno fatto tutto da soli ed hanno imparato a fare le bombe su Internet.
Zubeidat, invece, resta a casa e si mette nei guai. Il 13 giugno è beccata a rubare abiti per 1624 dollari in un negozio della catena «Lord & Taylor». La sua foto segnaletica finisce su Internet, sotto gli occhi di tutti. Dovrà  affrontare un processo. Il 17 luglio Tamerlan torna dal Daghestan, inizia a postare materiale jihadista. Un doppio sentiero che porterà  la famiglia nell’abisso e il giovane a uccidere.
Guido Olimpio

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