La guerra fra i leghisti dilata il rischio di altre lacerazioni

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La scelta del capo dello Stato, abbinata all’assenza di una maggioranza di governo, rende tutti più liberi anche di frantumarsi, evidentemente. Galleggiare per settimane nel limbo del dopo-elezioni allenta i vincoli di unità  e acuisce le spinte centrifughe. Gli occhi erano puntati da giorni su un Pd litigioso e lacerato sulla leadership di Pier Luigi Bersani: al punto da far parlare di scissione. Ma ieri per qualche ora si è pensato a uno strappo in incubazione nella Lega.
Umberto Bossi ha smentito la notizia secondo la quale vuole fare un altro partito. Eppure, le rughe del Carroccio sono profonde al punto da apparire vere ferite fra la vecchia gestione e il leghismo di Roberto Maroni. Le minacce di espulsione dei contestatori al recente raduno di Pontida sono solo il punto finale di una coabitazione difficile. Senza dubbio, l’esperienza della Lega è entrata in crisi da anni.
Dopo la coda dell’alleanza col Pdl la Lega ha perso colpi inesorabilmente, cedendo voti alle ultime elezioni a favore del M5S di Beppe Grillo e, in parte, dei centristi di Mario Monti; e questo nonostante Maroni abbia conquistato la Lombardia come governatore. C’è da chiedersi se un’eventuale rottura preluda a un periodo di instabilità  nelle giunte del Nord, dominate dal Carroccio almeno in termini di potere.
Ma soprattutto, l’incognita è se i conflitti fra i lumbard anticipino strappi in altri partiti. È come se il voto di fine febbraio avesse creato non solo tre spezzoni parlamentari, ognuno con circa un quarto dei voti; ma anche dato la sensazione che alcuni consensi siano stati «parcheggiati» per protesta, in attesa di una destinazione più stabile. Sotto questo aspetto, il Parlamento che il 18 aprile comincia a votare in seduta comune per il presidente della Repubblica promette di riservare qualche sorpresa.
Potrebbe anticipare schieramenti pronti a cementarsi intorno al Quirinale, per poi diventare l’embrione delle intese che si profileranno subito dopo. Anche l’esito del lavoro controverso dei dieci «saggi» scelti da Giorgio Napolitano per abbozzare qualche proposta destinata al futuro premier viene utilizzato per indicare future maggioranze. Eppure, la confusione non diminuisce. E le polemiche contro l’Ue finiscono per velare l’importanza del profilo internazionale che il prossimo capo dello Stato dovrebbe avere. L’Italia avrà  un disperato bisogno di alleati, e non di polemiche, in politica estera.


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