La crescita infelice del pianeta

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In quella che è, probabilmente, la più famosa delle Operette morali di Giacomo Leopardi, il «Dialogo della Natura e di un Islandese», nel suo ultimo intervento, la Natura afferma: «Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione». È difficile che non vengano in mente tali parole leggendo l’ultimo testo di Serge Latouche, intitolato Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata, uscito di recente per Bollati Boringhieri (pp. 114, euro 14,50). Tutto il discorso verte, infatti, sulla necessità , per l’attuale sistema capitalista, di creare un ciclo continuo, e sempre di più breve durata, di produzione e distruzione delle merci. Come afferma Gà¼nther Anders, citato dallo stesso Latouche, «la produzione vive della morte dei prodotti singoli (che vanno forniti sempre di nuovo); deve dunque la sua “eternità ” alla mortalità  dei suoi esemplari». Per cui una stampante deve bloccarsi dopo aver prodotto diciottomila copie, un computer essere fuori uso dopo un paio d’anni e così via. Nello stesso tempo occorre che non sia possibile, perché economicamente non conveniente, che i prodotti vengano riparati, ma bisogna sempre acquistarne di nuovi.
Il libro, come si racconta nella prefazione, prende le mosse da un film, Pret à  jeter/ The Light Bulb Conspirancy di Cosima Dannoritzer, in cui il teorico della decrescita felice era stato coinvolto, e dall’incontro con Giles Slade, autore del testo di riferimento per la realizzazione della pellicola. Così, richiamandosi soprattutto a The Waste Makers di Vance Packard, si affronta il concetto dell’obsolescenza programmata, ovvero quell’insieme di tecniche «messe in opera per ridurre artificialmente la durata di un bene manifatturiero, in modo da stimolare il rinnovo del suo consumo».
Messa da parte quella che viene definita obsolescenza tecnica, ossia il fatto per cui un prodotto risulta essere superato a causa dell’evoluzione e del progresso tecnologico, l’attenzione dell’autore si concentra sulla cosiddetta obsolescenza psicologica o simbolica, per cui grazie alla pubblicità , alla moda, al marketing si convincono i consumatori a cambiare un prodotto, e su quella strictu sensu programmata: «l’estinzione di un prodotto dovuta al fatto che il produttore vi ha inserito di proposito un pezzo difettoso destinato a limitarne la durata». Naturalmente, spesso nella realtà , tecniche legate ai differenti tipi di obsolescenza vengono attuate sincronicamente per raggiungere l’effetto desiderato.
Latouche passa poi a narrare la storia della progressiva affermazione del concetto di obsolescenza e ad esaminarne i modi di funzionamento. Tutto ha inizio negli Stati Uniti tra la fine ell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con la comparsa del primo usa e getta: «Già  nel 1872, l’America produce 150 milioni di colli e polsini da camicia non lavabili». Si va avanti con i preservativi di caucciù o di latex, poi, nel 1895, con i rasoi usa e getta, nel 1920 i primi assorbenti e nel 1924 i kleenex. E si prosegue con la nascita del «sistema Detroit», quando la General Motors, per contrastare il successo della Ford, basato su macchine solide e di poco prezzo, inizia ad utilizzare il marketing, lanciando un modello nuovo ogni anno, senza alcuna innovazione tecnologica significativa, e spingendo la gente a cambiare macchina ogni tre anni, «il tempo necessario a rimborsare il prestito di quella precedente». Si passa poi al periodo dell’obsolescenza programmata propriamente detta, quando le macchine, in genere elettrodomestici, iniziano a diventare più fragili, soprattutto per la «proliferazione di accessori che, quando si guastano, (NE)bloccano completamente il funzionamento». Segue la seconda ondata dell’usa e getta, che investe prodotti più sofisticati come la radioline a transistor, e vede l’introduzione della cosiddetta data di deperimento. L’ultimo tassello è quello dell’obsolescenza alimentare: dal 30 al 50% dei prodotti alimentari «finisce nelle discariche prima di essere venduto nei centri commerciali, o è gettato nelle pattumiere domestiche perché ha superato la data di scadenza».
Il testo prosegue analizzando gli aspetti morali della questione e i possibili limiti, anche e soprattutto a livello ecologico. La conclusione non può che essere la proposta della decrescita serena come unica soluzione «per sfuggire al destino funesto di una obsolescenza programmata dell’umanità ».


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