by Sergio Segio | 7 Aprile 2013 7:43
PECHINO — Quando Haruhiko Kuroda è stato scelto dal premier Shinzo Abe come governatore della Banca del Giappone, il Wall Street Journal gli ha dato il benvenuto scrivendo che come prima cosa si sarebbe dovuto impegnare «per convincere la gente di essere un po’ pazzo». Dopo che per quindici anni la Banca centrale di Tokyo aveva assistito silenziosa e impotente a caduta dei prezzi, salari stagnanti e profitti esigui, solo vedendo un pazzo nella stanza dei bottoni, la comunità di investitori, industriali e consumatori avrebbe potuto credere a un’inversione di rotta tanto drammatica da risultare utile.
Il governatore Kuroda, 68 anni, master a Oxford e passioni che spaziano dai testi filosofici ai romanzi polizieschi, sembra aver preso il consiglio del giornale americano alla lettera. Come primo atto della sua missione ha deciso di raddoppiare in due anni la base monetaria (che tradotto dal dizionario economico significa il denaro liquido e le riserve obbligatorie della banche): si tratta di un’operazione da non meno di 1.400 miliardi di dollari. L’obiettivo è di spezzare la spirale della deflazione e portare l’inflazione giapponese al 2 per cento.
Gli investitori debbono aver visto nella mossa del giallista Kuroda una discreta dose di follia, perché venerdì alla Borsa di Tokyo sono state scambiate 6 miliardi e 450 mila azioni, un livello mai toccato da quando il mercato fu creato nel 1949. Neanche lo choc per lo tsunami e l’incidente nucleare di Fukushima, nel marzo del 2011, riuscì a provocare una tale ondata di compravendite. Anche l’indice Nikkei ha toccato un livello mai più visto dal 1° settembre 2008, la vigilia del fallimento della banca americana Lehman Brothers che svelò la gravità della crisi finanziaria nell’era della globalizzazione.
La Banca del Giappone ha detto che l’iniezione da 1.400 miliardi di dollari è un modo «per cambiare drasticamente le aspettative dei mercati e degli attori sulla scena economica, in modo da condurre il Paese fuori dalla deflazione dopo 15 anni».
Parole insolitamente chiare per Tokyo. Ma Kuroda è stato scelto dal premier Abe proprio per questo, per sostenere ed eseguire aggressivamente quelle politiche economiche che sono state definite «Abenomics». Gli esperti hanno ripescato dagli archivi alcuni interventi di Kuroda di quando era ancora viceministro delle Finanze, nel 2002 e scriveva sul Financial Times per invocare una «aggressive monetary policy» per far rialzare i prezzi e stimolare l’economia. Abenomics pura, prima dell’ascesa di Abe.
Buona la prima per il governatore, dunque. Il presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, si è detto soddisfattissimo dalla promessa del governatore di azzardare qualunque mossa pur di far ripartire la crescita. «Un Giappone in espansione è una buona cosa per la regione asiatica e per il pianeta intero», ha detto.
Ma il suo esordio da big bang può creare onde difficili da cavalcare nell’Oceano Pacifico. Se la terza economia del mondo ha deciso di giocare in modo spregiudicato la partita del «monetary easing», acquistando bond pubblici al ritmo di 40 miliardi di euro al mese e di fatto creando moneta, le altre potenze non saranno felici di assistere a un indebolimento dello yen che avvantaggerà le esportazioni giapponesi. In due giorni lo yen ha già perso il 4,5% sul dollaro e il 5% sull’euro e gli analisti prevedono che la tendenza al ribasso proseguirà nei prossimi mesi. Non è difficile immaginare colloqui tesi di Kuroda con il collega-rivale americano Ben Bernanke e con il cinese Zhou Xiaochuan, prudente governatore della Banca popolare cinese. E ancora sul fronte cinese, potrebbe aprirsi un altro contenzioso: Kuroda fino al mese scorso era presidente della Banca asiatica di sviluppo, un istituto costituito nel 1966 sul modello della Banca mondiale. Il presidente è stato sempre scelto a Tokyo, ma ora che Pechino ha fatto il sorpasso e la sua economia è la seconda del pianeta, all’inseguimento degli Usa, potrebbe voler dire la sua.
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