“Io, picchiata e drogata per le foto a seno nudo fuggo ma non mi arrendo”

Loading

«ADESSO sto bene, ma non sono certo stata bene nelle ultime settimane. La mia famiglia mi ha portata via da Tunisi dopo la pubblicazione delle mie foto a seno nudo: mi hanno dato delle medicine e costretto a leggere il Corano. Ora sono riuscita a scappare e non ho intenzione di fermarmi. Mi batterò ancora per le mie idee».
AMINA Tyler, 19 anni, è la ragazza tunisina che a metà  marzo ha osato sfidare la società  postando su Internet una foto di se stessa a seno nudo alla maniera del gruppo femminista ucraino delle Femen. Dopo la diffusione delle immagini è stata minacciata dai conservatori e rinchiusa dalla sua famiglia: ieri sono riuscita a raggiungerla e a parlarle via Skipe per la prima volta dopo la sua fuga.
Quando ci siamo incontrate, qualche settimana fa, la tempesta che presto l’avrebbe travolta non si era ancora materializzata. Amina aveva accettato di posare per me replicando di fronte alla macchina fotografica di un professionista le immagini amatoriali che l’avevano resa famosa. Poco dopo la tempesta arrivò: Amina scomparve, prelevata dai familiari e rinchiusa lontano da Tunisi sotto l’effetto di psicofarmaci. Un incubo da cui è emersa solo poche ore fa.
Per la sua liberazione, in mezzo mondo le donne hanno manifestato in una giornata denominata “Topless Jihad”. Amina, mi ha raccontato ieri, ha seguito le proteste e se ne è sentita molto incoraggiata.
Amina come stai innanzitutto?
«Adesso sto bene».
Perché dici adesso?
«Non sono di certo stata bene. Dopo la mia protesta, la mia famiglia si è infuriata con me. Un giorno ero seduta con degli amici in un caffè a Tunisi e improvvisamente sono comparsi mio cugino e mio zio. Uno dei miei amici, ho capito, aveva detto a mia madre che ero lì: e loro erano venuti a prendermi. Mi hanno presa di forza, mio cugino mi ha sollevata di peso e poi mi ha lasciata andare bruscamente a terra, la schiena mi fa ancora male dopo un mese».
E poi che è successo?
«Poi mi hanno messo in macchina, spingendomi, tenendomi il collo bloccato e mi hanno schiacciata dentro la vettura, tenendomi bloccata. Mi hanno portato a casa, mi hanno rotto la Sim card del telefono. Hanno iniziato a picchiarmi, fino a quando mio padre non è intervenuto per fermarli, per difendermi. ‘Smettetela di picchiare mia figlia’, ha detto. E le botte sono finite. Ma a quel punto i miei familiari hanno
deciso di portarmi in un piccolo villaggio, a tre ore di macchina da Tunisi. Ogni giorno incontravo persone a me sconosciute, mi obbligavano a leggere il Corano, anche se sapevano che io sono agnostica, mi obbligavano ad andare dall’imam ogni giorno. Poi mi hanno portata dallo psichiatra, sono stata obbligata a prendere dei farmaci, erano talmente forti le dosi che non sapevo più cosa facevo, dormivo tutto il giorno. Mi hanno poi portata di nuovo a Tunisi e sono stata di nuovo rinchiusa dentro casa, con la porta bloccata. Ieri finalmente sono riuscita a scappare ».
Sei scappata da casa della tua stessa famiglia? E dove sei ora, ancora a Tunisi?
«Sì, sono scappata dalla mia famiglia. E no, non sono a Tunisi ma non posso dire dove sono».
Ti senti in pericolo?
«Sì. Sono certamente in pericolo: il mio viso è noto e ho ricevuto molte minacce. Per strada la gente mi insultava e gridava “Amina spogliati, Amina spogliati”. E’ stato orribile».
Pensi che la tua famiglia ti stia cercando?
«Sì, mi stanno cercando, ne sono certa. E non penso che siano i soli: suppongo che anche la polizia mi stia cercando e anche di loro ho paura: come ho detto in passato, se mi prendono rischio che mi picchino o che mi stuprino per punirmi. Per quanto riguarda la famiglia, ho paura che mi prendano di nuovo. Se succederà  sarà  ancora più dura, proprio perché sono già  scappata ».
In queste settimane hai seguito quello che stava accadendo? Hai visto quello che le Femen hanno fatto per te?
«Sì, so tutto. Ho parlato con Inna, la leader delle Femen, poco fa e l’ho ringraziata per il supporto suo e del resto del gruppo. Mi hanno fatta sentire più forte. È stato bellissimo!».
Tutta questa vicenda è iniziata quando tu hai deciso di unirti alle Femen: hai intenzione di continuare?
«Sì, io non mi fermo. Voglio organizzare qualcosa con le Femen ma ancora non so bene cosa e neanche dove: potremmo agire in Europa oppure in Tunisia. Quello che è certo è che continueremo la lotta contro chi vuole privare le donne dei loro diritti. Non ci fermeremo».


Related Articles

Crimini di guerra nell’ex Jugoslavia. Cosa mostra la condanna di Ratko Mladic

Loading

Dopo vent’anni dalla fine delle guerre di Bosnia, la sentenza non può che far emergere i tanti fallimenti raccolti dalla comunità internazionale e dai popoli dei Balcani

Ok alla corte internazionale ma niente reato di tortura

Loading

Nell’ordinamento italiano continua a non essere previsto perché potrebbe mettere nei guai le forze di sicurezza

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment