Interessi supremi, la Formula Uno mette la testa sotto la sabbia

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«Per il secondo anno consecutivo, la gara procederà  in pompa magna… Per il secondo anno consecutivo la sofferenza della nostra gente sarà  ignorata. Per il secondo anno consecutivo (i piloti) si sfideranno sul nostro sangue». Yousif Al-Mahafdah, del Centro per i diritti umani del Bahrain, punta l’indice contro piloti e scuderie di F1 che oggi saranno impegnati nelle prove del Gp di Sakhir, la vetrina della monarchia assoluta al Khalifa. Così come era accaduto nel 2012 anche quest’anno il circo della F1 volta lo sguardo dall’altra parte in nome di “supremi” interessi economici, proclama l’estraneità  dello sport alla politica e prosegue per la sua strada. Incurante di ciò che accade nelle strade del Bahrain dove da settimane si ripetono le manifestazioni di protesta contro il regime e la polizia politica ha intensificato le retate degli oppositori, molto spesso appena adolescenti.
Il giovane campione Sebastian Vettel non mostra alcun interesse per la condizione dei giovani del Bahrain. «Siamo qui per lo sport, non per la politica» ha commentato. Per Vettel il Gp di Sakhir è solo una gara e niente di più. Le polemiche che accompagnano l’appuntamento sportivo, non toccano il pilota tedesco della Red Bull. Intervistato dalle agenzie di stampa Vettel ha detto di non volere entrare nel dibattito relativo all’opportunità  di disputare la gara in un contesto caratterizzato dalle proteste di chi invoca da anni riforme e uguaglianza. Anzi il campione tedesco ha espresso fiducia nei confronti di chi deve garantire la sicurezza e auspica che «possiamo dedicarci allo sport nel modo più sicuro possibile». Come dire, più le forze di sicurezza useranno il pugno di ferro contro chi protesta e meglio ci sentiremo noi piloti. Sulla stessa linea il collega della Force India, Adrian Sutil. «Da quello che ho visto – ha detto – è tutto ok».
Tutto ok per Sutil. Appena due giorni fa la polizia ha compiuto un raid contro la scuola superiore «Jabreya» di Manama, vicino all’ambasciata statunitense. Gas lacrimogeni e granate stordenti sono stati lanciati contro gli studenti che chiedevano il rilascio di un 17enne arrestato il giorno precedente, Hassan Humiden.
Nelle ultime due settimane, oltre cento persone sono state arrestate, in buona parte nei villaggi vicini al circuito di Sakhir. Arresti «preventivi» per impedire nuove manifestazioni e che, al contrario, hanno radicalizzato le proteste. I giovani della «rivoluzione del 14 febbraio» hanno fatto saltare in aria un’automobile in pieno centro a Manama.
Un atto simbolico, che non ha fatto vittime. È la conferma che a due anni dalla repressione violenta dell’accampamento di Piazza della Perla, attuata dalle forze di polizia con l’aiuto di militari sauditi inviati in soccorso di re Hamad al Khalifa, i giovani bahraniti non sono più disposti a sopportare la repressione senza reagire.Non sorprende che sia sceso al punto più basso il sostegno alla partecipazione dell’opposizione al «dialogo nazionale» voluto dalla monarchia che continua a non dare alcun risultato concreto.
La Formula Uno non vuole sapere nulla di ciò che accade nelle strade di questo piccolo arcipelago che ospita, nella base di Juffair, la V Flotta americana. Strade dove sono morti decine di manifestanti e altre centinaia sono rimasti feriti. Senza dimenticare gli arresti e le pesanti condanne subite da buona parte dei leader dell’opposizione. «La Formula Uno ignora consapevolmente le violazioni dei diritti umani in Bahrain, aumentate negli ultimi tempi proprio in occasione del Gp», ha denunciato Sarah Leah Whitson, responsabile per il Medio Oriente di Human Rights Watch, «gli organizzatori del Gp preferiscono mettere la testa sotto la sabbia e non sapere cosa sta provocando la loro corsa». Tutto regolare per il patron della F1, Bernie Ecclestone. «Non vedo perchè il Gp di Sakhir non dovrebbe rivelarsi un successo… Proteste? Non so che dirvi, io non so nulla di queste proteste», ha detto rispondendo alle critiche.
L’indifferenza di Ecclestone, della Ferrari, della Red Bull e delle altre scuderie in ogni caso non ferma la lotta dei bahraniti. «No alla Formula Uno insaguinata», «La vostra corsa è un crimine», scandivano ieri sera nei villaggi sciiti centinaia di giovani.


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