“Inevitabile la fusione con Chrysler”

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TORINO — La Fiat non è più principalmente italiana. Anzi, l’Italia rappresenta ormai il 12 per cento delle sue vendite, realizzate in gran parte nel resto del mondo. Proprio per questo, presentando un bilancio che riporta una perdita di oltre 700 milioni nell’area europea, John Elkann può dichiarare che «a differenza di molti concorrenti noi manterremo l’occupazione » in Italia. Nel pomeriggio il leader della Fiom, Maurizio Landini, ricorderà  «le chiusure di Cnh e Irisbus» (che sono in Industrial) e lo stop di Termini Imerese. Nulla di paragonabile, comunque, agli 8.000 licenziamenti annunciati da Peugeot in Francia nonostante quella che Marchionne ha definito ieri «la scelta scioccante del governo francese di sostenere il bond del produttore locale ».
Sempre di più «le attività  europee del gruppo vengono sostenute dai risultati sugli altri mercati», in particolare da quelli del Nordamerica. Questo è il leit motiv dell’assemblea degli azionisti. La Fiat salvata dall’America (del Nord e del Sud). «Ma questa situazione non può durare a lungo», spiega Marchionne. Dunque via al piano di «progressivo orientamento delle produzioni nel Vecchio Continente verso la gamma medio alta». Si tratta dei modelli dei marchi Alfa e Maserati «che saranno realizzati sfruttando le sinergie con un marchio fantastico e inarrivabile come la Ferrari». L’obiettivo è quello di arrivare al pareggio in Europa «entro il 2016».
Certo, questo progetto sarebbe più semplice da realizzare «se si riuscisse a fare in fretta un governo che dia certezze all’Italia». In ogni caso il processo di trasformazione della Fiat è avviato. Si va verso la fusione con Chrysler. Il tema sarà  quasi certamente all’ordine del giorno dell’assemblea del prossimo anno perché, spiega Marchionne, «se fossi uno scommettitore, e non lo sono, punterei sul fatto di coronare i miei dieci anni da amministratore delegato (che cadono il 1 giugno 2014) con la fusione realizzata». Anzi, aggiunge l’ad, «il mio decimo anno alla guida della Fiat inizia il primo giugno di quest’anno». Tempi stretti dunque. Veba, il fondo pensioni del sindacato americano, ha ottenuto una dilazione di tre mesi prima che il giudice del Delaware si esprima sul valore delle azioni della casa di Detroit. Pronunciamento importante perché Veba ha ancora in mano il 41,5 per cento della Chrysler e vuole venderlo al prezzo migliore. Secondo i calcoli di Fiat quel pacchetto vale 1,8 miliardi di euro. Secondo le tabelle di Veba costa 4,2 miliardi. La metà  è a 3 miliardi di euro. Non è naturalmente necessario attendere il pronunciamento del giudice: «Certo che no – risponde Marchionne – se io dessi oggi a Veba quel che chiedono, la questione sarebbe superata. Ma io non pago un valore che non ritengo congruo ». Siamo dunque alle trattative serrate e i gruppi di lavoro delle due parti non hanno certo atteso il pronunciamento del giudice per continuare a trattare come stanno facendo. In ogni caso la Fiat continuerà  a comperare a pezzi, ogni sei mesi, un pacchetto del 16 per cento di azioni che l’accordo del 2009 le consente di rilevare. Tutti segnali che fanno ritenere probabile un’intesa entro i prossimi mesi. Il Veba avrebbe bisogno di liquidità  per riequilibrare il fondo e non sarebbe intenzionato a protrarre a lungo il braccio di ferro. Per un sindacato Usa che si appresta a uscire, uno, italiano, potrebbe entrare, sia pur marginalmente, nella compagine azionaria: la Fim-Cisl ha annunciato ieri la nascita di un’associazione di lavoratori-azionisti della Fiat. L’ultima battuta di Marchionne in conferenza stampa è il racconto della sua recente cena con Maurizio Crozza: «E’ una persona molto simpatica. Ma gli ho detto che la sua imitazione non mi piace. Imita altri molto meglio di me».


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