Immigrati e Armi le Riforme Liberal messe a Repentaglio

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Molti altri fuggivano. Loro no: non hanno ceduto al panico e ieri alcuni media li hanno trasformati nei simboli della reazione dell’America davanti al terrorismo. E anche l’incarnazione dell’auspicio che questa nuova emergenza non laceri ulteriormente la società  americana e, anzi, magari aiuti ad abbassare i toni di una polemica politica tornata a livelli di grande esasperazione nonostante le elezioni siano passate da un bel pezzo.
Nelle ultime settimane si era aperto uno spiraglio con le prove d’intesa tra i «pontieri» democratici e repubblicani sulle questioni cruciali dell’immigrazione e del controllo delle armi. Sulle tasse, i tagli di spesa, la riduzione del debito pubblico, le distanze restano incolmabili, nessuno riesce nemmeno a immaginare un compromesso. Ma sulle delicatissime questioni degli 11 milioni di clandestini che vivono negli Stati Uniti e sull’introduzione almeno di una soglia minima di controlli sul possesso di armi da fuoco, fino a ieri sembrava aperta la strada per riforme di stampo progressista, sia pure di portata molto più limitata rispetto a quanto auspicato dai «liberal» americani. Per le armi, ad esempio, l’intesa accettata da alcuni senatori repubblicani prevede l’introduzione di sistemi di registrazione e controllo del possesso di pistole e fucili che, comunque, non riguardano le compravendite dirette tra privati. Mentre nessun accordo è considerato possibile sulla messa al bando delle armi da guerra, l’altra misura proposta dal presidente Obama.
Quanto all’immigrazione, l’intesa ufficializzata proprio ieri da alcuni dei più influenti senatori repubblicani (capitanati da John McCain e Marco Rubio) e democratici (Chuck Schumer il loro stratega) prevede che i clandestini debbano compiere un percorso estenuante — lungo addirittura 13 anni — per arrivare alla cittadinanza americana. Ma, comunque, offre per la prima volta la possibilità  di una sanatoria. Un’ipotesi che, fino allo scorso novembre, era fieramente respinta dai conservatori. Che però, dopo la sconfitta elettorale della destra a novembre, si sono in buona parte ricreduti: se non fa i conti coi problemi delle sue minoranze, quello repubblicano si condanna davvero a essere il partito dei maschi bianchi.
Questa faticosa ricerca di soluzioni condivise in un clima politico che rimane, comunque, estremamente instabile, resisterà  alla tragedia di Boston che obbliga la Casa Bianca a rivedere le sue priorità  e che avrà  conseguenze anche sul sistema politico? Il clima d’emergenza aiuterà  chi cerca di far nascere, almeno su alcuni temi cruciali, un clima d’unità  nazionale? O darà  fiato a chi sostiene che un Paese sotto attacco non deve fare concessioni a nessuno: né ai clandestini che sono un pericolo potenziale per la sua sicurezza, né a chi vuole disarmare i suoi cittadini?
Dopo una giornata trascorsa col fiato sospeso, ieri il Congresso è tornato al lavoro. Individuare la matrice dell’attentato non è indifferente, per capire che direzione prenderà  il dibattito politico: un attentato di matrice straniera verrebbe strumentalizzato da chi vuole bloccare anche le piccole aperture che si sono viste di recente in campo repubblicano. Ma quelle sulle armi sembrano già  comunque rientrate. Dopo quale incertezza la Nra, la lobby delle «canne d’acciaio», ha deciso di bocciare il compromesso senatoriale e i suoi firmatari si sono improvvisamente resi conto di non avere più i voti per far passare anche soltanto una miniriforma. Nemmeno al Senato.
Dovrebbe invece tenere l’intesa sugli immigrati, per la quale ormai anche i repubblicani manifestano un grosso interesse politico. Ma l’iter è lungo (almeno fino a fine anno), la riforma costosa e gli agguati degli arciconservatori sono sempre dietro l’angolo.


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