Ilva, «ambiente svenduto» indagato il sindaco Stefà no

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Nella richiesta della proroga di indagini firmata dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani di inizio settimana, è comparso infatti per la prima volta il nome del primo cittadino. Le ipotesi di reato sono abuso e omissione di atti d’ufficio sulla base, secondo indiscrezioni, di un esposto presentato tempo addietro dal consigliere comunale Aldo Condemi, nel quale si portava la magistratura a conoscenza delle misure che il sindaco non avrebbe preso a tutela della salute dei cittadini. Immediata la replica del primo cittadino, che ha affermato di aver appreso la notizia dagli organi di stampa e in un comunicato precisa che «a tutt’oggi non ho ricevuto alcuna comunicazione in tal senso, ed ove ciò dovesse accadere, prontamente lo renderò noto alla città . Il mio stato d’animo – ha aggiunto Ippazio Stefà no, eletto lo scorso anno per il secondo mandato consecutivo – resta assolutamente sereno, convinto come sono di aver assolto ai miei doveri di sindaco nell’esclusivo interesse della città , a difesa della quale ed in tempi non sospetti presentai un circostanziato esposto all’autorità  giudiziaria sui fatti ambientali della grande industria. Sono dunque pronto ad essere ascoltato dai magistrati per fornire loro tutti i dovuti chiarimenti in ordine ai fatti a me eventualmente contestati». 
Ma sul sindaco di Taranto le prime ombre erano già  calate con le intercettazioni della Guardia di Finanza depositate il 26 novembre, lo stesso giorno in cui l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà  finì in carcere insieme ad alcuni membri della famiglia Riva con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e corruzione in atti giudiziari. In quelle intercettazioni, era il 29 luglio 2010, Archinà  e Stefà no parlavano del referendum consultivo sulla chiusura dell’Ilva svoltosi lo scorso 14 aprile. Archinà  si raccomandava con Stefà no di fissare la data della consultazione il più tardi possibile. «La data la più lontana possibile» disse Archinà , ottenendo come risposta un «va bene» dal sindaco, motivando la richiesta dell’azienda così: «Per farci lavorare un po’ tranquilli» e ricevendo ampia rassicurazione dal sindaco: «Tranquilli! Va benissimo, ciao Girolamo». Ma l’inchiesta «Ambiente svenduto» promette di fare altre vittime eccellenti. 
Intanto, sempre ieri la procura ha dissequestrato e restituito all’Ilva i tubi in acciaio dal valore di circa 20 milioni di dollari destinate alla costruzione di un oleodotto iracheno. Parere negativo invece, è stato espresso dai pm sulla richiesta di dissequestro del restante prodotto finito e semi-lavorato finito sotto sigilli il 26 novembre del 2012 (1 milione ed 800mila tonnellate di acciaio), che per i giudici dovrà  restare sotto sigilli sino a quando la Corte Costituzionale non renderà  pubbliche le motivazioni della sentenza con cui ha stabilito la legittimità  della legge 231/2012. La merce dissequestrata, scrivono i pm nell’ultima ordinanza inviata per l’immediata esecuzione alla Guardia di Finanza, era già  stata venduta dall’Ilva alla Oil Project company del governo dell’Iraq prima del sequestro preventivo, quindi è da considerarsi secondo il codice civile a tutti gli effetti «vendita di cosa futura». Due giorni fa l’Ilva aveva intimato la restituzione della merce minacciando una richiesta di risarcimento danni allo Stato di circa 27 milioni di dollari nel caso in cui non fosse riuscita entro il 5 maggio a tenere fede al contratto di fornitura con la Oil Projects.


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