Il segretario vuole andare in Aula Ma i renziani spingono per le urne

by Sergio Segio | 3 Aprile 2013 6:58

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ROMA — Pier Luigi Bersani rilancia la sua sfida a Silvio Berlusconi. Il segretario del Pd invia al Cavaliere questo messaggio: per noi va bene una soluzione condivisa per il Quirinale, ma tu accetta di far nascere il governo del centrosinistra senza porre ostacoli, altrimenti… Altrimenti c’è sempre Romano Prodi sullo sfondo.
Stufo delle voci che lo davano ormai in disarmo, chiuso a Bettola e poco propenso a tornare e a parlare prima di domani, il leader del Pd ha voluto chiarire qual è la sua posizione. A scanso di equivoci. «La nostra proposta di governo è l’unica alternativa al voto». Non che Bersani ufficialmente si auguri le elezioni. «Sarebbero una sciagura», dice in favore di telecamere. Semplicemente, il segretario non può ammettere che «si accantoni il piano del Pd senza alcun voto parlamentare». Insomma, Bersani è pronto, quando vi sarà  un presidente della Repubblica nuovo, e nel pieno delle sue funzioni, a riprovarci. «Tra l’altro — dicono i suoi — con un capo dello Stato che ha il potere di scioglimento, vi saranno pochi parlamentari maldisposti verso un governo guidato dal nostro leader». Il responsabile organizzativo del partito, Nico Stumpo, assiso su un divanetto nel Transatlantico di Montecitorio, spiega a un amico che gli chiede lumi: «La nostra posizione è semplice: o andiamo al governo con Bersani, o al voto sempre con lui». E Matteo Orfini afferma: «Sono pienamente d’accordo con tutto quello che ha detto il segretario, solo su una cosa dissento: sul fatto che le elezioni anticipate sarebbero una sciagura».
Bersani, dunque, ci spera ancora e vuole far capire a tutti, soprattutto agli esponenti del Pd che non sono d’accordo con la sua linea, che lui è ancora in campo. «In tutti i Paesi normali — spiega il segretario — il leader del partito che ha più voti e più parlamentari governa. Non si capisce perché qui dovrebbe essere diverso e soprattutto non si comprende perché i voti del Pd dovrebbero contare meno degli altri».
L’iniziativa dei dieci saggi non è piaciuta a Bersani, ma è chiaro che non può dirlo pubblicamente. Sarebbe come attaccare Napolitano. Però quello che pensa di questa mossa del Colle, il segretario lo spiega ai suoi: «Io non ho indicato nessun nome al Quirinale, i saggi che hanno come riferimento la nostra area sono autonomi da noi e noi da loro. Comunque queste due commissioni non hanno certo il compito di fare un governo, scriverne il programma e decidere chi lo deve guidare. Quello che possono fare, e che sarebbe utile facessero, è un progetto di riforma elettorale condiviso, così potremmo liberarci del Porcellum».
Il segretario, comunque, è convinto che se il suo governo andasse alla prova delle Aule parlamentari potrebbe prendere il via. Sennò, ripetono per l’ennesima volta, gli esponenti del «tortello magico», c’è solo il voto perché con il Pdl non si può proprio governare. E se si andasse alle urne in estate, i bersaniani sostengono che non ci sarebbe tempo per avere un candidato del Pd alternativo a Bersani. Già , il tempo stringe e non ce n’è abbastanza per votare una seconda norma transitoria in deroga allo Statuto che consenta anche ad altri Democrat di scendere in campo contro il segretario e poi organizzare le primarie. In questo modo i supporter del segretario ritengono di poter bruciare Renzi.
Ma è veramente così? Il sindaco di Firenze la pensa diversamente e ai suoi in gran segreto ha confidato che per lui prima si vota e meglio è. A ottobre, persino a giugno. Tutto purché non parta il treno di una legislatura di lunga durata. Il che sarebbe pur sempre possibile. Infatti, una volta instradato sui binari un nuovo governo, del presidente o di Bersani che sia, sarebbe difficile fermarlo: se arrivasse all’anno prossimo, gli sarebbe facilissimo giungere a quello dopo ancora. Sì, perché il primo luglio del 2014 l’Italia assumerà  la presidenza del semestre europeo, il che vuol dire che c’è bisogno di un governo nella pienezza dei suoi poteri. Ciò significa che prima del 2015 non si va a votare. Ma è un orizzonte temporale troppo lontano per Renzi: rischierebbe di non prendere l’ultimo treno a sua disposizione.

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