by Sergio Segio | 11 Aprile 2013 11:05
ROMA – Quanto vale il volontariato, che ormai ricopre un ruolo strutturale nel nostro sistema di welfare? Come politica e cittadini lo possono sostenere? A queste domande cerca di dare una risposta i ”Via Sarfatti 25”, la rivista online dell’Università Bocconi. Nel servizio su “L’Italia utile”[1], la rivista fa i conti del non profit italiano, sottolineando “le tante facce” del volontariato.
I dati. Secondo la rivista, oggi “i circa 3,2 milioni di volontari italiani rappresentano il lavoro equivalente di circa 385 mila dipendenti funzionali e a essi si aggiunge il personale retribuito delle imprese sociali (630 mila persone)”. Ciò premesso, ecco che “sommando il valore economico del volontariato stimato (quasi 8 miliardi di euro, calcolati con il metodo del costo di sostituzione) al volume delle entrate delle istituzioni non profit (circa 38 miliardi), si può affermare che il peso economico del settore è al di sopra del 4 per cento del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato”.
“Oggi il volontario – afferma l’autore dell’articolo, Giorgio Fiorentini – dona tempo qualificato e professionalizzato alle persone svantaggiate in un rapporto di scambio virtuoso e di fiducia. Dal punto di vista economico-aziendale fare il volontariato vuol dire produrre ed erogare servizi efficienti ed efficaci e scambiare in modo non simultaneo, ma proporzionale, valori economici meta/economici e di reciprocità in modo organizzato e in una logica di imprenditorialità sociale. Attenzione però: nella nostra società la relazione di reciprocità continua a essere confusa con quella di scambio di equivalenti, che si basa sul prezzo e sulla simultaneità . Bisogna superare la concezione del volontariato come opzione neoliberista utile al ‘capitalismo compassionevole’, e anche come opzione statalista e ‘ruota di scorta’ funzionale del sistema pubblico. Il volontariato è ormai un ‘lavoro di servizio e di reciprocità ’ che, al di là delle attività del volontario come singolo, funziona e sviluppa la massima efficacia se collocato all’interno di organizzazioni strutturate (che chiamiamo imprese sociali non profit) in un contesto tribolare del sistema economico integrando le imprese profit, le imprese sociali non profit e le aziende pubbliche”.
In una intervista, poi, Elio Borgonovi, professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi, e presidente del Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale), indica le azioni indispensabili per consolidare e riconoscere il movimento del volontariato. Eccole: una legge del lavoro ad hoc (“queste associazioni hanno necessità di occupare personale con forme più flessibili rispetto alle imprese, mentre la legge Fornero ha reso questo più difficile”), più coordinamento con il sistema sanitario e la pubblica amministrazione (“nello scenario attuale la concezione di un welfare istituzionale viene sempre meno e cresce quella di un welfare sempre più basato sulla società civile”), modificare il modello organizzativo, va aumentata la professionalità del volontario (“possibilmente anche con il contributo di finanziamenti pubblici”), promozione e sinergie tra imprese e istituzioni.
“Chiaramente – si legge ancora nell’approfondimento sul non profit – il paradosso di ‘lavorare gratuitamente’ in una società che ha regolato tutto il sistema delle attività organizzate in base al codice del denaro e dell’avidità , influenza sia gli aspetti soggettivi del lavoro volontario (motivazioni, aspettative, senso di appartenenza) sia le modalità di gestione delle risorse umane non retribuite. Si tratta cioè di capire in che modo ottenere dai volontari un comportamento organizzativo integrato, pur nell’impossibilità di far leva sugli strumenti tradizionali di controllo e di indirizzo delle performance individuali. Una figura, quella del volontario, che in conclusione oggi deve essere vista come quella di un dipendente funzionale, per quanto non retribuito, che l’impresa sociale deve saper gestire al meglio”. (da.iac)
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