Il fortino dei «fedelissimi» «Restiamo con Pier Luigi»
Allora, senti: vorrei sapere se…
«Mi disturba, semmai, che continuate con questa storia del “Tortellino magico”. Non c’è, non è mai esistito. Esiste solo un gruppo di persone che era, e resta, accanto a Pier Luigi Bersani. Mi sono spiegata?».
Contraddire Chiara Geloni significherebbe rovinarsi la domenica pomeriggio. Occhi azzurri e capelli biondi, più che vestale del pensiero bersaniano, una monaca guerriera (il sito Dagospia l’ha soprannominata «Nostra Signora degli scazzi»): per mesi, a guardia della stanza segreta del partito democratico — mentre Maurizio Migliavacca e Vasco Errani erano chiusi in riunione con il segretario — c’è stata lei, la direttrice di YouDem, la televisione del partito visibile solo sul web, che il deputato Mario Adinolfi paragonò a una via di mezzo tra la Pravda e Rude Pravo.
«Guarda, continui a dire sciocchezze… Non è vero che Bersani decideva tutto da solo. L’ho visto incontrare la Bindi, Veltroni, D’Alema…».
Diversamente da Alessandra Moretti, @lageloni non molla, non tradisce. Per dire: va su Twitter e mette a posto un gruppetto di militanti arrabbiati che la punzecchiano. «Bersani si è dimesso: cosa volete di più?».
Nata in una città di anarchici (Carrara), cresciuta però nell’Azione cattolica, primi articoli sul quotidiano Il Popolo, poi vicedirettore di Europa, arriva al Pd tra Ave Maria e pugni chiusi: eccentrica nei suoi abiti con stoffe in stile Ming, ruvida, rapida, spavalda (quando in un dossier anonimo fu accusata di guadagnare 6 mila euro netti al mese, rispose: «Sì, lo so, è uno stipendio alto»), continua a ingaggiare duelli con chiunque le scateni il sospetto di insidiare Bersani. E ne restano di memorabili. Con Lino Paganelli, lo storico responsabile delle feste democratiche, colpevole di simpatizzare per Renzi, e soprattutto con Enrico Mentana. Che, però, la sistemò. «Lezioni di giornalismo da una funzionaria di partito, proprio no!».
Lei, la Geloni, così tosta e rigida, e quelli davvero addetti alla comunicazione del «Tortellino magico» in salsa Pd sempre invece così diplomatici, misurati (nei limiti, s’intende). Stefano Di Traglia, il portavoce del segretario alto e grosso, nervi controllati anche sotto la bufera di fischi e insulti delle notti scorse; e poi Roberto Seghetti, il capo ufficio stampa con una lunga carriera nei quotidiani, anche lui sempre con un sorriso, sempre la parola giusta persino nei complicati giorni delle primarie, quando il ruolo del cattivo fu interpretato — con una certa disinvoltura, bisogna ammettere — da Nico Stumpo, responsabile organizzativo del partito fedele come il capo della guardia repubblicana, un quarantenne calabrese con il fisico del bodyguard cresciuto nei ranghi del partito, tra i colonnelli di Bersani di certo il più intransigente e concreto.
Se Errani e Migliavacca sono stati i colonnelli addetti alle strategie sul campo — naturalmente, alla scuola politica del Pci, alle Frattocchie, le assemblee dei gruppi parlamentari insegnavano a gestirle un po’ diversamente da come sono state gestite le ultime, quelle in cui prima Marini e poi Prodi sono stati candidati per il Quirinale — ecco, se loro due erano al tavolo di Bersani a ragionare di numeri e di trattative, all’onorevole Miguel Gotor era stato affidato il ruolo dell’intellettuale (possibilmente, non organico) che alla tivù e sui giornali spiega, divulga, convince. Studioso di santi, eretici e inquisitori, il Rinascimento attraversato nei suoi meandri più oscuri, filologo di Aldo Moro, ricercatore di Storia moderna all’università di Torino, un quarantenne non giovanilista, Gotor ha però da subito evitato, più per incapacità che per scelta calcolata, di calarsi nel ruolo per il quale era stato scelto (Bersani lo scopre ai tempi del libro-intervista scritto in coppia con Claudio Sardo, l’attuale direttore dell’Unità ).
Non buca lo schermo, Gotor, come si dice in gergo televisivo. E quando decide di rilasciare un’intervista ha sempre il dubbio di dire cose che non deve. Pesa troppo le parole, risulta criptico, se non reticente. Come un mese fa. Con il Corriere. Quando, con Bersani da poche ore impegnato a cercare le alleanze per un governo, alla seconda domanda, rispose così: «No, non può chiedermi cosa faremo con i grillini… Scusi, che razza di domanda è?» (l’intervista, ovviamente, fu interrotta all’istante).
Adesso è leggermente più rilassato. E, infatti, dice una cosa che spiega molto, se non tutto: «È stata confusa per arroganza, l’assunzione di responsabilità che a Bersani, e a coloro che gli erano fedeli, veniva dal risultato del voto».
Va notato come, per la prima volta, ci sia un componente del «Tortellino magico» che osi fare un riferimento al concetto di arroganza.
Related Articles
La legge elettorale alla prova decisiva L’incognita dei cento voti segreti
Previste venti ore di dibattito per l’Italicum. Cuperlo: nessun cecchinaggio
Grillo, tour al Senato con video «Le urne come un vespasiano»
Si riapre il caso-dissidenti. Malumori sull’impeachment
Scola arcivescovo di Milano: “Torno a casa”