Il Colle e un’agenda per il nuovo governo

by Sergio Segio | 13 Aprile 2013 6:15

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ROMA — Un governo come quello «tecnico» che Mario Monti ha guidato dal 16 novembre 2011, non poteva certo metterlo in cantiere, dopo il voto del 24-25 febbraio scorso. E neppure un esecutivo «di scopo», tecnico-politico o soltanto politico, vista l’indisponibilità  degli interlocutori sfilati sul Colle durante il doppio giro di consultazioni. Di un ipotetico gabinetto a lungo orizzonte e fondato su larghe intese, poi, neanche parlarne, almeno finora. Così, spetterà  al suo successore, che a differenza di lui avrà  a disposizione l’arma dello scioglimento delle Camere, tentare qualcosa per uscire dallo stallo e insediare qualcuno a Palazzo Chigi. Sperando che nel frattempo, magari per effetto di un’elezione condivisa per il nuovo inquilino del Quirinale, finalmente cada tra i partiti il muro delle pregiudiziali assolute.
Troverà  sulla scrivania, il 12° capo dello Stato, «un testimone concreto e significativo» che Giorgio Napolitano è da ieri pronto a trasmettergli. Un «lascito» che, oltre a costituire il possibile impianto di un’agenda per chiunque approdi alla guida del governo (cioè la bozza programmatica di un esecutivo «di scopo» a non breve termine), dimostra che non è un’utopia l’idea di superare la paralisi in cui è schiacciata l’Italia, ormai in ogni senso in crisi, depressa e sfiduciata. Insomma: dai punti di convergenza e di accordo riassunti in diverse analisi e focus dell’istruttoria compilata dai due gruppi di lavoro, affiora — come segnala il presidente della Repubblica — «un metodo e un clima che ci incoraggiano nell’auspicio di analoghi sforzi di buona volontà  e d’intesa anche nei luoghi della politica e nelle assemblee rappresentative».
Ecco il punto centrale del passaggio di consegne (perché il dossier sarà  subito recapitato ai partiti ed è anzi già  in Rete affinché entri in circolo nel dibattito pubblico) annunciato da Napolitano in una cerimonia che ha i toni malinconici, spleen, del congedo. È il suo «contributo conclusivo alla soluzione del problema del governo», sul quale le forze politiche avranno ora la possibilità  di riflettere e far leva per rompere l’impasse.
«La parola e le decisioni toccano a loro», avverte, e starà  al suo successore «trarne le conclusioni». Spetta dunque ai leader, tutti, dimostrarsi responsabili e liberarsi della camicia di forza della incomunicabilità . Potranno riuscirci a patto che — come hanno cercato di fare i «saggi» nei giorni scorsi — sappiano tenere «in seria considerazione i problemi da affrontare, le situazioni critiche da superare, le potenzialità  da cogliere e mettere a frutto» e, in definitiva, a patto che non eludano «le attese e i bisogni più urgenti dei cittadini e del Paese e lo sviluppo futuro dell’Italia, della società  e della nostra stessa democrazia».
Ora, se «il metodo» è quello della «buona volontà » seguito dai dieci esperti scelti dal Quirinale, «il clima» evocato dal capo dello Stato è un’altra faccenda. Una scommessa parecchio più complicata da vincere, dopo anni di durissima polarizzazione della lotta politica e dopo che un’insistita e reciproca delegittimazione ha avvelenato i pozzi lungo il percorso per uscire dalla transizione. E che nella palude italiana tiri un’aria politicamente molto insalubre, lo dimostra l’accoglienza che è stata riservata proprio alla nascita del comitato di specialisti.
La notizia del loro insediamento, martedì dopo Pasqua, era stata accolta con una raffica di accuse («scelta incostituzionale», «golpe», «commissariamento delle Camere», «tempo perso»): una rincorsa di polemiche che aveva molto amareggiato Napolitano. La conclusione del loro lavoro, ieri, è stata invece accompagnata da lodi e apprezzamenti unanimi e, quel che più conta, quasi bipartisan. Un po’ con lo spirito che potrebbe dimostrare un drappello di naufraghi in un mare in tempesta davanti a chi gli abbia appena lanciato un salvagente. In fondo è davvero così. Lo stallo determinato dai risultati del voto e il confuso scenario di veti incrociati, diktat, precondizioni, preclusioni, dichiarazioni contraddittorie aveva, sì, legato le mani a Napolitano, impantanando però nel contempo pure le tre grandi minoranze emerse dalle urne.
Come trovare una soluzione per uscirne?, si era chiesto il capo dello Stato, che aveva misurato con desolazione la sua stessa impotenza.
Come aiutare il Paese, e il suo successore, a costruire le «larghe intese» indispensabili ad aggirare l’ostacolo?
L’invenzione del comitato di «saggi» (organismo senza precedenti, da noi, nelle fasi di determinazione dei governi), mentre ha sospeso per un po’ lo scontro, ha dimostrato che un sistema politico inceppato può essere aiutato, «facilitato» con nuovi strumenti di conoscenza, a riattivarsi proprio grazie all’esempio di un dialogo positivo.
Certo, spetterà  ai partiti scegliere su quali contributi tecnici concentrarsi ed eventualmente cercare una sintesi nella logica della dialettica parlamentare. Ma, per come si sono messe le cose, è comunque «un lascito» concreto. L’unico che Napolitano poteva affidare al proprio successore e alle forze politiche. E, ripete, «senza che si sia perso tempo».

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