Il Cavaliere scommette sul «sì» «Viatico per un governo condiviso»
ROMA — Se non era la sua prima scelta, poco ci mancava. Al termine del tourbillon di incontri che lo ha visto impegnato in faccia a faccia con Giuliano Amato, Sergio Mattarella e Franco Marini e in infiniti contatti con Pier Luigi Bersani, Silvio Berlusconi pare abbastanza convinto che il risultato possa essere portato a casa. E che, anche se sarà «una lunga notte per il Pd», e «bisogna essere uniti e compatti sul suo nome ma non è affatto detto che passi alla prima votazione», alla fine l’ex leader della Cisl potrebbe spuntarla per il Quirinale.
«Stimo Marini, è una soluzione positiva. È una persona seria e per noi non è una sconfitta. Non ha militato nelle nostre file ma viene dal popolo, è stato segretario della Cisl, un sindacato legato a cattolici e Dc, capace di buone autonomie», le parole con le quali l’ex premier ha annunciato ai suoi gruppi parlamentari riuniti in serata quale è l’indicazione di voto per oggi. Parole accolte da un applauso, perché — ha spiegato il Cavaliere — è «la soluzione migliore che in questo momento potessimo ottenere. Marini quando nel 2008 è caduto Prodi, è stato leale e corretto. Ha consegnato il mandato e si è andati al voto».
Insomma, nulla da ridire sull’uomo. E molto da guadagnare in prospettiva: «Noi abbiamo fatto tutto quello che ci era possibile per favorire una decisione unitaria in spirito di condivisione, adesso non possiamo che aspettare loro». E la scelta di dire sì a Franco Marini, arrivata dopo il no convinto a Sergio Mattarella che pure Bersani aveva proposto e anche il «non si può» a Giuliano Amato, è stato «un passo importante che può aprire a un’esperienza condivisa di governo, che affronti i nodi caldi dell’economia». Certo, ha spiegato ai suoi il Cavaliere, ancora non ci sono decisioni su un esecutivo di larghe intese, anzi «non abbiamo trattato di governo, si sta facendo un passo per volta: ma certo un voto come questo apre la via».
E dunque, se il viatico è il governo, se stamattina il patto reggerà , il Pdl potrà ragionevolmente sostenere — come fanno già Cicchitto, Gasparri, Lupi — che «è una buona scelta, che ci soddisfa, una decisione che può giovare al Paese». Nonostante arrivarci non sia stato facile. Berlusconi, raccontano, in prima battuta avrebbe preferito Giuliano Amato. «Lo conosco da tempo, ha un profilo internazionale alto, ha polso e sa prendere decisioni importanti», ha ripetuto ai suoi interlocutori. Ma nel Pd, gli hanno spiegato, ci sarebbero stati «troppi franchi tiratori, avremmo corso un grosso rischio». Anche perché la Lega «ci ha detto che non avrebbe potuto votarlo», e anche in Sel l’ostilità era forte.
Così, scartato Mattarella considerato non amico anche per i trascorsi sulla questione delle frequenze televisive (si dimise con altri ministri democristiani dal governo Andreotti per non favorire l’assegnazione a Berlusconi), si sono fatti i conti su quanti consensi avrebbe potuto ottenere Marini. E, nella convinzione che nel Pdl è massima che la Lega voterà compattamente per l’ex presidente del Senato («Dopo averci fatto saltare Amato — sussurra Cicchitto — ci mancherebbe altro…»), si è deciso che sì, l’intesa poteva essere chiusa. Pd permettendo. E Lega mantenendo, se è vero che ieri sera, ufficialmente, dal Carroccio si annunciava che il candidato di bandiera sarebbe stata Manuela Dal Lago ma il veto era netto solo su «Prodi, D’Alema e Monti».
E però appunto in serata i dubbi hanno cominciato a farsi forti, sempre più forti. «Guardate — ha avvertito Berlusconi i suoi parlamentari — che non è detto che Marini venga eletto al primo voto: Renzi non lo voterà , Vendola si sta agitando, Grillo ha proposto Rodotà e speriamo non venga sponsorizzato da altri con esiti negativi… Bisogna restare compatti. E mi raccomando, sulla scheda scrivete bene Franco, non Francesco Marini!». Ma a questo punto «noi abbiamo fatto quello che potevamo, che altro ci si può chiedere — dice Lupi —. Poi certo, se il Pd non regge a un candidato come Marini e si spappola, primo Bersani può anche ritirarsi, secondo, come è ovvio, noi ci votiamo Berlusconi».
E a quel punto? Nel Pdl non si riesce nemmeno più a fare previsioni: «Tutto potrebbe accadere» a seguito di una spaccatura drammatica del Pd. Si potrebbe finire su «D’Alema, sul quale Bersani non ha premuto nella fase della trattativa, come non lo ha fatto per Violante e la Finocchiaro». Ma potrebbe anche esserci un voto a sorpresa per Rodotà , o rispuntare Prodi. Con la conseguenza di un blackout tra destra e sinistra e l’ipotesi di tornare al voto. Che comunque a Berlusconi «non fa paura: il distacco tra me e Renzi è di solo 5 punti ed il partito è cresciuto del 5% e la coalizione di centrodestra del 4%».
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