Il Cavaliere: con Bersani è fatta Una «stretta di mano» al telefono

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ROMA — «Direi che è fatta con Bersani», annunciava nel tardo pomeriggio di ieri Berlusconi, che proclamava «la fine della fase tattica» e parlava di un «accordo di ferro» per il Colle con il segretario del Pd sul nome di Amato, ritenuto «l’unico spiraglio». Diceva la verità  il Cavaliere o stava bluffando? Tutte e due le cose, l’uso del condizionale — quel «direi» — lo testimoniava. E non perché dovesse solo far finta di aver preso una decisione, ma perché la corsa per il Quirinale è sempre piena di insidie: in passato è bastato un niente per far saltare patti più saldi di quello che il leader del Pdl sostiene di aver stretto con il capo dei democrat.
Di certo c’è che i due si sentono ormai assiduamente e non hanno più bisogno di intermediari. Ma siccome una stretta di mano telefonica non basta a chiudere un simile negoziato, alla vigilia delle votazioni Berlusconi mantiene — al pari del suo interlocutore — un atteggiamento non ambiguo, bensì prudente. E c’è un motivo se dalla sua corte è iniziato a filtrare il nome di D’Alema, se il primo presidente del Consiglio post comunista è stato accreditato come «il candidato»: Amato era e resta la prima scelta per il Cavaliere; D’Alema è la carta di riserva, su cui puntare nel caso in cui l’accordo sull’ex sottosegretario di Craxi non dovesse reggere, e Berlusconi volesse evitare di restar fuori dai giochi, ritrovandosi al Quirinale una personalità  non gradito se non ostile.
Il punto è che Amato produce anticorpi all’interno dei due schieramenti: inviso a molti nel Pd e osteggiato da Vendola, determina lo stesso effetto in un pezzo del Pdl e nella Lega. Perciò, se davvero — come sostiene Berlusconi — è stata trovata un’intesa con Bersani sul candidato, il problema è come farlo eleggere, mettendo a punto la tempistica per ufficializzare quel nome e sottoporlo ai grandi elettori. Per esempio, riuscirebbe Amato a superare le forche caudine del voto segreto già  alla prima chiama? È stato calcolato che — in caso di accordo tra Pd, Pdl e Scelta Civica — ci sarebbe un margine di centosessanta senatori: basterebbe o sarebbe preferibile aspettare le successive due chiame? E se si optasse invece per la quarta votazione — quando servirà  la maggioranza semplice — non ci sarebbe il rischio di aprire le porte ad altri giochi, scatenando i franchi tiratori?
Insomma, un passo falso e Amato sarebbe bruciato. Di qui la carta D’Alema, che Berlusconi ha valutato con lo sguardo però sempre rivolto agli amatissimi sondaggi: perché — agli occhi del suo elettorato — l’ascesa dell’ex segretario del Pds al Colle con il supporto del Pdl saprebbe di «inciucio», avrebbe un impatto maggiormente negativo rispetto ad Amato, che certo non è considerato una «novità ». Tuttavia, pur di non dover stare a guardare per la seconda volta l’elezione del capo dello Stato, il Cavaliere non ha escluso D’Alema dal mazzo. Preferirebbe Marini, «peccato che — giura scaricando le responsabilità  sul fronte avverso — siano quelli del Pd a non volerlo». Ancora una volta dice il vero o bluffa?
Di sicuro Amato incontra il gradimento di Berlusconi, che è in piena sintonia con Napolitano, da tempo sponsor dell’esponente socialista. Ma se il patto Pd-Pdl dovesse saltare, l’inquilino del Colle avrebbe un altro candidato che vedrebbe di buon occhio come suo successore. Sarà  una semplice coincidenza, ma non c’è dubbio che il giudice costituzionale Cassese incontra i buoni uffici del capo dello Stato uscente, ed è il nome con cui Bersani potrebbe evitare di venire travolto da Grillo, che ieri pronto ha iniziato la manovra di accerchiamento al Pd e gli ha di fatto proposto un accordo su Rodotà . Con Cassese, Bersani si precostituirebbe un’exit-strategy, ecco perché ne ha fatto cenno l’altra sera a Monti.
Il premier uscente però vuole che sul Quirinale ci sia una «scelta condivisa» con il Pdl, e la reazione istintiva di Berlusconi all’ascolto di quel nome non è stata entusiastica: «Cassese chi? Quello che ha lavorato per bocciare il lodo Alfano?». Chissà  se Gianni Letta sarà  riuscito a persuaderlo, spiegandogli che l’ex ministro di Ciampi «si è mosso sempre di intesa con il presidente della Repubblica». Napolitano, appunto. Da quell’orecchio però Berlusconi non ci sente, e infatti nella rosa predisposta dal capo dei democrat ci sono Amato, D’Alema, Marini e la Finocchiaro, che ieri ha chiesto e ottenuto di non venire esclusa dalla lista. È sui primi due nomi però che si gioca la partita per il Colle. Berlusconi dice che «è fatta». Sicuro che non si vada ai supplementari?


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