Il balzo della pasionaria radicale Pannella ringrazia premier e Colle
La donna nominata ieri ministro degli Esteri, Emma Bonino, varcò da deputata lo stesso ingresso dell’aula della Camera nel 1976 e all’inizio del suo percorso parlamentare veniva considerata da alcuni colleghi un’estranea proveniente da altri pianeti quasi quanto gli attuali titolari dei seggi del Movimento 5 Stelle.
La ventottenne di Bra, Cuneo, eletta nella legislatura di esordio del Partito radicale di Marco Pannella a Montecitorio circolava in Transatlantico con le gonne a fiori e gli zoccoli neri delle femministe di allora. Stilisticamente e antropologicamente distante dal circondario. Capelli arruffati rispetto ad adesso, sguardo determinato e passo deciso, Emma Bonino costituiva un modello di donna in politica diverso non soltanto da quelli più istituzionali di Nilde Iotti, comunista dai tratti austeri, o Franca Falcucci, sottosegretaria democristiana da cinegiornale in bianco e nero. Si distingueva anche dall’affascinante Luciana Castellina, meno tagliente di lei seppure dirigente della «sinistra rivoluzionaria» dal punto di vista della collocazione politica.
È forse anche per questo che a 65 anni Emma Bonino risulta nel giovanile governo di Enrico Letta uno dei nomi di fatto più intrisi di novità . Malgrado ministro lo sia già stata del Commercio internazionale, nonostante il suo nome sia stato proposto per la presidenza della Repubblica in vari appelli almeno dal 1999, benché fosse stata candidata per il ministero della Difesa nel 2006 dalla Rosa nel pugno, nessun capo dello Stato e nessun presidente del Consiglio incaricato prima di Napolitano e Letta erano arrivati a offrirle la Farnesina, posto di direzione per 126 ambasciate, ministero di serie A che nei governi di coalizioni ordinarie ogni partito vorrebbe per sé, figurarsi nelle larghe coalizioni. L’ipotesi Bonino agli Esteri, nel 2005, evaporò. Perciò la novità di ieri ha fatto comprensibilmente dire «grazie a Napolitano e Letta» da Pannella, maestro di Emma, amico mai minimamente rinnegato e però personalità più volte ingombrante per l’allieva di un tempo.
Chissà quanti grillini sanno che la radicale Bonino non è soltanto una laureata in Lingue straniere alla Bocconi e un’ex commissaria europea con delega alla pesca. Prima di inserirsi a modo suo in un sottile filone di parlamentari italiani abituati a orientare lo sguardo anche oltre le beghe di casa e dotati di un certo credito all’estero (come Napolitano, Amato, La Malfa, Prodi) Enna Bonino per le sue proteste ha dormito in sacco a pelo sotto Palazzo Chigi (lo ricorda Filippo Ceccarelli) ed è stata arrestata più volte. Tre settimane in carcere nel 1975 per un’autodenuncia nella campagna contro gli aborti clandestini, da sostituire con quelli legali. Poi, per esempio, arresti a Varsavia nel 1987 per manifestazione contro la dittatura filosovietica, a New York nel 1990 e ’91 per la distribuzione di siringhe gratis per contrastare la diffusione dell’Aids.
Senza trasformismi, ha militato in partiti (pannelliani) dal nome diverso senza mai cambiare di fatto partito, la radicale Bonino. Eletta in Parlamento in alleanza con Berlusconi e con la sinistra, ma sempre la stessa. «Mi sento vomitata dal mio Paese», si sfogò nel 2001 dopo una sconfitta elettorale. Ieri non è andata così.
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Ma uno scandaloso squilibrio si era creato lungo i decenni fra Stato e mercato. Il primo si era ristretto, il secondo si era dilatato nel più caotico e iniquo dei modi. Lo Stato ne usciva spezzato, screditato: da ricostruire, come dopo una guerra mondiale.
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