I cinesi puntano al controllo di Telecom

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MILANO — Tre settimane al massimo: è il tempo della riflessione che il consiglio di Telecom Italia s’è dato di fronte alla proposta dei cinesi di Hutchison Wampoa di conferire 3 Italia, a condizione di diventare il nuovo azionista di riferimento del colosso telefonico italiano, come ha precisato in una nota la stessa Telecom. Anche se l’orientamento dei soci forti sarebbe stato ieri di freddezza di fronte all’ipotesi, contenuta in un memorandum of understanding presentato nei giorni scorsi dagli uomini del magnate di Hong Kong, Li Ka Shing.
Ieri dopo una riunione di sei ore il board presieduto da Franco Bernabè ha deliberato di costituire un «comitato ristretto» per «verificare entro tempi ristretti l’interesse della società  alla prosecuzione del percorso». Del comitato, che affiancherà  Bernabè, fanno parte due rappresentanti dei soci maggiori del veicolo di controllo Telco, cioè Julio Linares per conto della spagnola Telefonica (al 46% in Telco) e Gabriele Galateri per conto di Generali (al 30,5%), e due indipendenti, Elio Catania e Luigi Zingales (per i fondi).
In queste settimane — in tempo per il consiglio di amministrazione fissato per l’8 maggio — il comitato dovrà  effettuare una sorta di due diligence su 3 Italia per verificare se ci siano i presupposti per andare a trattare, nonché capire quali possano essere le convenienze economiche per il gruppo telefonico. L’impressione che si raccoglie in ambienti vicini ai grandi soci è che potrebbe replicarsi il nulla di fatto registrato a dicembre scorso con la proposta del finanziere egiziano Naguib Sawiris di un aumento di capitale riservato di 3 miliardi. Mercoledì anche il secondo socio forte di Telecom, Marco Fossati (Findim) aveva bollato come «mossa tattica» e non strategica la possibile integrazione Tim-3 Italia. Anche per questo ieri anziché un mandato a trattare, dal consiglio è venuta fuori l’istituzione del comitato.
La difficoltà  dell’operazione è determinata da fattori industriali e di governance. Dal primo punto di vista c’è da affrontare il tema della valutazione del gruppo guidato in Italia da Vincenzo Novari, che in dieci anni ha conquistato 9,5 milioni di clienti ma non ha mai chiuso in utile. Il 2012 ha visto 1,9 miliardi di ricavi (+10%) con un ebitda di 264 milioni di euro (+3%) e un ebit di 0,5 milioni. Le stime di 2-2,5 miliardi di euro circolate in questi giorni lasciano perplessi il fronte Telco. In quest’ottica dunque un’eventuale fusione o integrazione potrebbe comportare forse per Telecom dei vantaggi fiscali. Tra gli altri benefici, ci sarebbe quello della contrazione degli operatori (oggi hanno frequenze anche Wind e Vodafone), che però si riverberebbe anche sui concorrenti. Altre complessità  arriverebbero poi dall’antitrust, visto che insieme Tim e 3 Italia controllano il 46% del mercato.
Il secondo nodo sarà  il rapporto tra i soci. Per diventare azionista di riferimento di Telecom, H3g punterebbe a rilevare le azioni in mano a Telco o ai suoi soci a un prezzo che dovrebbe essere pari al valore di carico di 1,2 euro — praticamente doppio rispetto agli 0,61 euro di Borsa ma utile per una società  gravata da 1,7 miliardi di debiti e non vuole registrare ulteriori perdite. Ma questa soluzione trova freddi i vari soci perché rischia di essere poco rispettosa dei soci di minoranza. A puntare i piedi ieri al consiglio sarebbe stata soprattutto Telefonica, rappresentata ai suoi massimi livelli da Cesar Alierta e da Linares. Il gruppo spagnolo avrebbe ricordato di avere il diritto di prelazione di fronte alle eventuali offerte di vendita che arrivassero agli altri soci di Telco, cioè Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo (queste ultime due con l’11,6% ciascuna).
Altro tema affrontato nel consiglio è stata la creazione di una società  ad hoc per la rete fissa in vista di un’alleanza con la Cassa depositi e prestiti, della quale già  ieri era attesa una valutazione economica che però non sarebbe arrivata. Per questo il board ha dato «mandato al management a definire il percorso operativo di fattibilità  per la separazione della rete di accesso», a cominciare proprio dalla valorizzazione della rete, compresa la divisione debito di Telecom, pari a 28,3 miliardi. Le due partite — H3g e rete — sono inevitabilmente intrecciate. E a renderne più complessa la soluzione è anche l’assenza di un governo in carica.


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