Grillo evoca il golpe e chiama tutti a Roma

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ROMA — «Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto un colpo di Stato». Sono arrivate come una doccia fredda sull’entusiasmo della maggioranza parlamentare le parole di Beppe Grillo. E in un attimo hanno rovinato la festa della ritrovata serenità  istituzionale. Scatenando polemiche e apprensioni per l’annuncio che il leader del Movimento 5 Stelle sarebbe arrivato proprio lì sotto Montecitorio a portare la protesta di «milioni di persone» contro «l’inciucio». Poi in serata, dopo contatti e appelli alla responsabilità  lanciati dallo stesso candidato M5S Stefano Rodotà  («Sono contrario a qualsiasi marcia su Roma»), il contrordine di Grillo: «Arriverò durante la notte e non potrò essere presente in piazza». Tutto rinviato ad oggi quando incontrerà  stampa e cittadini.
Per fare entrare il Palazzo in fibrillazione era bastato un post che chiamava a raccolta i suoi. E non solo. «Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio, di applicare come programma di Governo il documento dei dieci saggi di area Pdl/Pd che tra i suoi punti ha la mordacchia alla magistratura e il mantenimento del finanziamento pubblico ai partiti», aveva scritto Grillo sul blog. «Anche nei momenti più oscuri della Repubblica, non c’è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini. Rodotà  è la speranza di una nuova Italia, ma è sopra le parti, incorruttibile. Quindi pericoloso. Quindi non votabile. M5S ha aperto gli occhi ormai anche ai ciechi sull’inciucio ventennale dei partiti». Quindi l’appello. «Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. È necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli-Venezia Giulia. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese».
Che quello oltre l’emiciclo transennato di Piazza Montecitorio fosse uno spazio troppo piccolo era stato chiaro da subito. Inutili i tentativi degli esponenti M5S di spostare la manifestazione a Piazza del Popolo, negata dalla questura. Mentre facevano la spola con i manifestanti per placare gli animi e ripetere: «Siamo un movimento pacifico. Non strumentalizzate la protesta».
Intanto la protesta cresceva, a parti invertite, nel Palazzo. Sotto accusa il leader M5S. «L’etichetta di golpe è infamante. L’elezione del capo dello Stato è un percorso limpidamente democratico» affermavano in una nota congiunta i presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso. «Il comportamento di Grillo pericoloso ed irresponsabile», accusava la pd Anna Finocchiaro. Parlava di «comica marcia su Roma di Grillo e del suo fascismo buffo», Silvio Berlusconi. «Parlare di golpe è ridicolo» concordava Matteo Renzi. «Misura le parole» suggeriva Nichi Vendola (Sel). «Grillo parla come Hitler o Mussolini» ci andava duro il leghista Roberto Maroni. Mentre Umberto Bossi stemperava: «Che lavoro fa? Il comico…».
«È un attacco alla Costituzione. È apologia di reato» azzardava il Fdi Guido Crosetto. «Ma Rodotà  condivide Grillo sul colpo di Stato?» chiedeva il pd Enrico Letta. E il collega Nicola Latorre: «Cosa aspetta Rodotà  a dissociarsi?». Un microfono. Pochi minuti dopo, infatti, in tv il primo dei non eletti dichiarava: «Sono contrario a qualsiasi marcia su Roma».
Alla valanga di polemiche Grillo rispondeva usando le parole del presidente emerito Ciampi: «Il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà  alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato». Da Facebook, perché, denunciava, «il blog è sotto attacco di hacker. Intanto la piazza che scandiva «Il nostro presidente non è Napolitano» si riempiva. E la gente affollava anche i varchi transennati di via del Corso. Troppi. In più, non richiesto, arrivava l’appoggio alla protesta anti-Napolitano di Rifondazione, Forza Nuova e Casa Pound.
«Una raccomandazione: nessun tipo di violenza, ma solo protesta civile. Isolate gli eventuali violenti», raccomandava Grillo via Twitter. Una parola d’ordine subito diffusa sui profili Facebook dei militanti e ripetuta in piazza dai parlamentari M5S, ormai sfatti e visibilmente preoccupati. Mentre arrivavano poliziotti in assetto anti-guerriglia. Poi l’annuncio: Grillo non verrà . «Per senso di responsabilità » rimarcano i grillini. Ma la manifestazione non si ferma e vira verso il Quirinale, a dispetto della richiesta di disperdersi dei parlamentari M5S. Nel percorso il corteo riconosce il pd Dario Franceschini in un ristorante. Immediati gli insulti: vergogna, traditori, buffoni. «Sono uscito per calmarli ma sono aumentate le insolenze. Un episodio sgradevole, ma in democrazia ci sta che il politico prenda offese. È però un fenomeno da non sottovalutare vista la violenza degli insulti che mi sono arrivati su Facebook quanto ho raccontato l’episodio».


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