Fiat-Chrysler, giudice incerto “Un esperto risolverà la causa”
TORINO — Quel che è certo è che quando mai andasse in Borsa non si chiamerà solo Chrysler. Le azioni con questo solo nome sono state ritirate nel 2007, all’inizio della crisi che ha portato la casa di Auburn Hills al fallimento pilotato, e non torneranno più. Se è piuttosto probabile che la quotazione principale della nuova società di fusione nata da Fiat e Chrysler sarà a New York, ancora incerto è il nome che assumerà . In teoria, ma solo in teoria, dopo la fusione la nuova società potrebbe chiamarsi semplicemente Fiat. Perché non si tratta di fondere due gruppi di soci ma dell’acquisto da parte di Torino della totalità delle azioni Chrysler. E’ però probabile che il nuovo soggetto, per non urtare suscettibilità da una parte e dall’altra dell’Oceano, si chiami semplicemente Fiat-Chrysler e con quel nome venga quotato a Wall Street. E’ infatti praticamente impossibile che nel nuovo nome sparisca quello della società che è diventata proprietaria della casa di Detroit.
Questioni che non sembrano oggi di attualità ma che potrebbero diventarlo entro giugno, quando si dovrà finalmente comporre la diatriba legale tra il Lingotto e il sindacato americano, titolare del 41,5 per cento delle azioni. Donald Parsons, il giudice del tribunale di Wilmington, in Delaware, che deve trattare la causa, ha fatto capire nell’udienza di giovedì, di essere incerto. Prima ha affermato di «essere piuttosto d’accordo con Veba», sulla scelta dei criteri con cui calcolare il valore dell’indebitamento e dunque delle azioni: se l’Ifsr (international financial reporting standard) che segue il Lingotto o i principi del Gaap, il generally accepting accounting principles, che propone il sindacato. Poi però lo stesso giudice ha anche affermato che non lo convince fino in fondo la tesi del Veba che vorrebbe valutare il prezzo delle azioni al mercato attuale. Dunque ha fatto capire che potrebbe incaricare un esperto per decidere.
Ai tentennamenti del signor Parsons a Wilmington hanno fatto eco vistosi sbandamenti del titolo Fiat a Milano, seimila chilometri più a est. Giovedì il titolo era schizzato in alto del 3,8 per cento sui rumors di una imminente chiusura del dossier. Ieri invece è precipitato del 2,5 per cento di fronte alle incertezze del giudice americano. Perché secondo il criterio proposto dai legali Fiat, il Lingotto dovrebbe spendere 1,76 miliardi di dollari per rilevare il 41,5 per cento delle azioni Chrysler ancora in mano al sindacato. Se invece prevalesse il criterio proposto dal sindacato, la spesa del Lingotto salirebbe a 4,2 miliardi. E’ immaginabile che, al di là del pronunciamento del giudice, le parti possano trovarsi a metà strada e la Fiat spendere intorno ai 3 miliardi di dollari, che è la valutazione di autorevoli osservatori come JP Morgan. Cifre comunque ingenti che la Fiat potrebbe farsi prestare dalle banche in cambio della promessa che, una volta conquistato il 100 per cento di Chrysler, una parte delle azioni possa essere venduta in Borsa dopo l’Ipo in modo da restituire il prestito agli istituti di credito. Questa strategia, ipotizzata dal Wall Street journal,
è solo una delle strade possibili. Bisogna vedere se gli azionisti Fiat intendono trovarsi altri soci nel cda della società di fusione: «Siamo anche disposti a diluire la quota nella nuova società », ha detto nelle settimane scorse John Elkann, confermando indirettamente l’ipotesi dell’Ipo. Se ne saprà di più probabilmente a fine maggio quando è in programma l’assemblea dei soci di Exor, appuntamento che si preannuncia per molti versi cruciale.
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