by Sergio Segio | 7 Aprile 2013 7:21
MARANELLO – La spa più cara del mondo è un piccolo ambiente al primo piano di una scuderia nella campagna modenese, dove si allevano migliaia di cavalli sotto il cofano di automobili quasi sempre rosse. Per entrare nella spa bisogna essere collezionisti di quei costosi equini d’acciaio. «Noi abbiamo già acquistato cinque automobili», racconta con orgoglio un signore saudita in pellegrinaggio alla Mecca del glamour mondiale, la Scuderia di Enzo Ferrari. La spa ai bordi della pista di Fiorano è un benefit concesso solo ai ferraristi più affezionati, «quelli che sanno che il colore originario della Ferrari non è il rosso ma il giallo di Modena», scherza Luca di Montezemolo. Che fa volentieri da Cicerone nel cuore del marchio più forte del mondo, secondo la recente indagine di Brand Finance. Un viaggio nell’Italia che piace e che, in molti casi, oggi non c’è. Per scoprire che non è solo la pelle dei sedili a parlare il linguaggio dell’esclusività . Ma anche la vita dei 3.000 dipendenti dell’azienda glocal per antonomasia, pendolari tra Maranello e Dubai, tra le serate al cinema di via Nazionale e tutto il mondo fuori, dove la Ferrari realizza il 95 per cento del suo fatturato. Con un welfare aziendale che ricorda l’Ivrea di Adriano Olivetti. «Non dimentichiamo – osserva Montezemolo – che siamo un’azienda del gruppo Fiat». Maranello è un’enclave di modernità nel cuore del provincialismo italiano in crisi o l’esempio di quel che il Paese potrebbe fare se uscisse dall’attuale stallo?
LA STANZA DEL DRAKE
Per capire il modello-Ferrari è indispensabile partire dal Mito. Dalla stanza al pian terreno della scuderia di Fiorano dove tutto è rimasto come ai tempi del Drake: il telefono anni ’80, verde con i tasti bianchi, e la foto di Gilles Villeneuve, il pilota preferito. Oltre la tenda bianca, oltre la finestra, la curva della pista di prova. Al piano superiore c’è una camera da letto dove anche il rumore del traffico fa parte degli optional. A fianco si apre la spa: il fascino del 12 cilindri che sfreccia oltre la nube di vapore del bagno turco.
Del Mito non si butta via nulla. Si attraversa l’aia della Scuderia per entrare nella stalla del Cavallino che fu: «Ci sono collezionisti che spendono anche due milioni di euro per acquistare un’auto di Formula1 guidata da Lauda o da Schumacher», spiegano in Ferrari. Le auto dei campionati ormai conclusi e lontani nel tempo sono allineate lì, in una specie di garage della storia. Sono quasi tutte acquistate da collezionisti che possono partecipare a un vero e proprio campionato amatori corso spesso sulle stesse piste del mondiale. Gente che deve comunque imparare a infilarsi in monoposto dagli spazi estremamente ristretti, non certo pensate per imponenti oligarchi sulla cresta dell’onda della finanza mondiale.
I patiti delle Formula1 usate sono la punta di un iceberg gigantesco. Quello che governa Andrea Perrone, dal novembre del 2011 responsabile del brand numero uno al mondo. Il merchandising legato al marchio produce da solo 50 milioni di euro all’anno di margine operativo, un settimo dei 350 milioni di utile della gestione ordinaria del Cavallino nel 2012, anno di bilancio record. In dieci anni le attività legate al marchio hanno venduto 400 milioni di pezzi, dal cappellino agli incassi del Ferrari world di Dubai. Il segreto, spiega Perrone «è quello di non inflazionare il brand, di renderlo sempre appetibile». E’ la scelta di farsi desiderare, vincente in molti campi. Così negli ultimi mesi sono state ristrutturate le licenze, riducendole a non più di una sessantina.
Insieme al Mito e al brand, la fabbrica è la terza gamba del modello Ferrari. Montezemolo è orgoglioso «dei 180 alberi piantati nei viali e anche all’interno delle aree di lavoro». Come alle officine meccaniche, dove si producono le testate degli otto cilindri tra robot e piante di ficus. Renzo Piano ha disegnato la galleria del vento, Massimiliano Fuksas gli uffici di progettazione e Jean Nouvel l’edificio che ospita le linee di montaggio. «Spostatevi che avanza», dice un operaio a lato della catena degli otto cilindri, dove nascono le Ferrari California. Effettivamente, pochi istanti dopo l’annuncio, le scocche scorrono di una postazione e si bloccano nuovamente. Per chi ha visto qualche linea di montaggio, la scena è surreale. La scocca della Ferrari avanza una volta ogni venti minuti. Quella della Panda, tanto per rimanere nel gruppo Fiat, una ogni novanta secondi. E’ la stessa differenza che corre tra un game di una partita a Ruzzle e metà tempo di una partita di calcio. E’ la misura della distanza tra un’auto da 300 mila euro, che esige una lavorazione molto accurata, e l’utilitaria da 15 mila euro. Ma è anche la differenza tra un’attività sostanzialmente artigianale e quella ripetitiva di una linea tradizionale. Il salto tra un lavoro fatto per passione e uno dettato dalla necessità . Forse, la differenza tra quel che l’Italia potrebbe essere e quel che invece è. «Teniamo molto alle condizioni di lavoro dei nostri collaboratori», spiega Montezemolo mentre saluta scherzando «questa signora che conosco da 34 anni».
fatto su misura
Alla fabbrica, ma anche al Mito, appartiene il Taylor made, la sartoria dell’auto dove i clienti più facoltosi vengono a scegliere tessuti (dal gessato al jeans), colori della carrozzeria, addirittura i tipi di cucitura della pelle dei sedili. Il 40 per cento dei clienti sceglie una Ferrari rossa. Ma nei cassetti i colori delle maquettes sono infiniti. C’è anche il «bianco Ingrid». Montezemolo ricorda «che Roberto Rossellini scelse una Ferrari bianca come regalo di nozze per Ingrid Bergman. Un’auto meravigliosa che fece arrabbiare molto la sposa perché era evidentemente un regalo che il regista aveva fatto a se stesso».
L’ultima parte dello stabilimento è top secret, una sorta di «Area 51» molto sorvegliata, dove si custodiscono i segreti di Alonso e Massa. Stefano Domenicali, responsabile della gestione sportiva, si aggira al banco di prova dei motori. Si stanno preparando i prossimi gran premi: «Il computer – spiega il direttore – sta simulando le cambiate del circuito di Barcellona». Conoscendo il percorso, in base all’urlo dell’otto cilindri si possono immaginare i rettilinei, le curve a gomito, quelle paraboliche. Nella galleria del vento, invece, è un momento di silenzio. Vanessa è un giovane ingegnere. Osserva sul computer il comportamento di un modellino in scala 1 a 2 dell’auto di Alonso: «Studiamo l’effetto dello scarico dell’aria sul comportamento delle gomme posteriori». Un pezzo di nastro adesivo per modificare la sagoma e via con nuove prove.
Mario Mairano è il responsabile del personale di Maranello. E’ lui che, nei rapporti con i 3.000 dipendenti del Cavallino, ha realizzato il modello-Ferrari. «Spendiamo quasi due milioni all’anno in formazione professionale e abbiamo un programma di promozione interna che prevede nei prossimi mesi il passaggio di 100 operai alla qualifica di impiegato». Il welfare è consistente. Oltre ai libri di testo dalle medie all’università per i figli dei dipendenti e alle scuole estive, ci sono i gruppi sportivi aziendali, l’area fitness, le convenzioni con la sala cinematografica di Maranello per la proiezione di film di prima visione. «Dare valore alle persone – spiega Montezemolo – è il nostro obiettivo». Con un sistema di premi legato ai risultati della pista e soprattutto alle vendite della Rossa, a marzo i dipendenti hanno ottenuto un premio speciale di 4.500 euro cui si aggiungeranno ad aprile i 4.000 euro di premio di competitività . In totale 8.500 euro.
IL WELFARE AZIENDALE
Anche in Ferrari, come in tutto il gruppo Fiat, la Fiom è esclusa dalle trattative ma il clima, nonostante polemiche recenti, sembra essere abbastanza diverso da quello che si respira a Pomigliano. «Certamente il welfare aziendale di Maranello viene incontro alle esigenze dei lavoratori», spiega Giordano Fiorani che per molti anni ha guidato la Fiom di Modena. Fiorani sostiene che «non mancano elementi di paternalismo» ma «nel complesso i dipendenti di Ferrari godono di benefit molto importanti soprattutto in questo periodo di crisi». I rapporti con l’azienda, spiega il sindacalista, «si sono naturalmente deteriorati dopo Pomigliano ma ancora oggi la Ferrari è un mondo a sé nella galassia Fiat».
La diversità di Maranello dipende certamente da una lunga tradizione. Ma anche dal fatto che il prodotto incide sul modo di lavorare e sulla vita quotidiana di chi lo realizza: più è ricca l’automobile, migliore è la condizione dei suoi produttori. Nei prossimi mesi il passaggio del gruppo Fiat dalla produzione delle utilitarie a quella delle auto di qualità medio alta potrebbe segnare un cambio di clima anche nelle fabbriche di Marchionne? Luca di Montezemolo risponde con prudenza: «La scommessa della Fiat è molto coraggiosa. Certamente vincerla significherà anche migliorare la condizione dei dipendenti». E’ una bestemmia immaginare di trasferire un giorno, almeno in parte, il modello Ferrari alle fabbriche del Lingotto?
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