by Sergio Segio | 19 Aprile 2013 7:44
Due giorni fa Prodi ha ripetuto che nella corsa per il Quirinale resta «solo uno spettatore»
È francamente difficile pensare che il flop di Franco Marini abbia provocato smottamenti nell’animo di Romano Prodi. Dire che i due non si sono mai amati, è un eufemismo: al punto che tra i prodiani l’ex sindacalista ed ex presidente del Senato è apertamente indicato tra i maggiori responsabili della caduta del primo governo del Professore, quello dell’Ulivo nel ’98. Più facile pensare che un minimo di stupore Prodi lo abbia provato quando ha saputo che proprio Marini era il nome messo avanti dal segretario Bersani nella disperata ricerca di un accordo con Berlusconi. Ora comunque, con la partita del Colle che riparte praticamente da zero, il due volte ex premier è tornato nel suo ruolo preferito: quello della sfinge. Con il vantaggio, in più, di essere lontano dall’Italia: in Mali, nella capitale Bamako, sulle rive del Niger, dove una conferenza dell’Onu lo terrà impegnato almeno fino a domani.
È da circa un anno che il Professore bolognese ha imparato a convivere con l’ombra del Quirinale. L’uomo ha le spalle larghe, è abituato a gestire le emozioni, conosce come le sue tasche le oligarchie che in queste ore si danno battaglia tra Montecitorio e i palazzi dei partiti. Non ha parlato finora. E non è detto che lo faccia a giochi conclusi. Prodi ha i suoi tempi. Che spesso non coincidono con quelli della politica parlata (cosa che spesso gli ha creato non pochi problemi). Immaginare quindi un Professore in preda all’ansia, impegnato a scrutare gli orizzonti africani alla ricerca di chissà quale sentiero per il Quirinale, è cosa piuttosto improbabile. «Che effetto mi fa essere tirato in ballo per il Quirinale? Nessuno!» ha risposto serafico qualche giorno fa. Aggiungendo: «Giornate complicate? A me sembrano giorni semplicissimi…». E lo pensa davvero. Convinto, com’è, che a differenza di altre vette della politica (e lui un po’ se ne intende) «il Colle non si pianifica» come dicono attorno a lui.
E poco male se in tutti questi mesi il Professore è stato a volte dipinto come un frenetico manovratore alla ricerca di chissà quali fili che lo portassero al Quirinale. L’uomo è ambizioso, certamente, ma è anche convinto che per un posto come quello del successore di Napolitano, più che le strategie e le strette di mano mirate, conti la biografia politica. Non si è stupito, ad esempio, che tra i Cinque Stelle il suo nome ricevesse un buon gradimento. Di «democrazia dei cittadini» e «società civile», il Professore ha fatto da anni una delle stelle polari: «Basti pensare — raccontano i suoi — ai comitati per l’Ulivo nel ’95 o all’invenzione delle primarie nel Pd…». Che poi per Berlusconi il nome Prodi faccia rima in queste ore con «incubo», beh, non è detto che al Professore dispiaccia.
Francesco Alberti
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