Draghi avverte: ripresa a rischio
FRANCOFORTE — Il rimborso dei debiti alle imprese? «È una delle misure più importanti di stimolo» all’economia, che i governi possano attuare. Così il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi è intervenuto ieri nel confronto in corso in Italia sui pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione alle imprese. Avvisando che il provvedimento «vale in alcuni casi vari punti di Prodotto interno lordo», il maggiore guardiano dei conti europei ha fatto trasparire una particolare urgenza nel messaggio lanciato all’Italia (pur senza nominarla), ma anche agli altri Paesi europei.
Per tutti è «cruciale» anche proseguire nelle riforme, perché la Bce non può «compensare l’inazione dei governi», in un momento molto delicato per l’eurozona, la cui crescita arranca e resta «debole», anche nel primo trimestre. Ci sono, avverte il numero uno della Bce, «rischi al ribasso» notevoli che potrebbero rinviare o annullare la ripresa prevista per la seconda metà dell’anno. Non c’è dunque tempo da perdere.
Il quadro è complesso e carico di rischi, ha insomma ribadito Draghi, che dell’aggravamento complessivo ha certo avuto modo di discutere anche nel colloquio telefonico dei giorni scorsi con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Sono stato chiamato al telefono e ho risposto», ha osservato in proposito il presidente dell’Eurotower, anticipando eventuali obiezioni sull’intervento in territorio politico e accompagnando il tutto con un «no comment» sui temi toccati. Al quale si è aggiunto un altro «no comment», questa volta sulla situazione di instabilità dell’Italia nel dopo elezioni.
L’invito di Draghi arriva però a tutti i governi europei: devono «intensificare l’attuazione delle riforme strutturali» e recuperare competitività , facendo la loro parte nella crisi, manifestatasi di nuovo nel salvataggio di Cipro (in proposito: «Dopo una lunga negoziazione con le autorità cipriote, il risultato fu un prelievo anche sui conti assicurati. Non era un’idea intelligente e fu corretta il giorno immediatamente successivo»).
Draghi ha quindi assicurato che la Bce continuerà a fare la sua parte. Lasciando i rubinetti della liquidità aperti «fino a che sarà necessario». Anche se il direttivo ha optato per un costo del denaro invariato, a quota 0,75%, Draghi ha lasciato aperta la porta a una riduzione dei tassi di interesse: «monitorando molto da vicino» i dati dell’economia «debole». E rimanendo «pronto ad agire», qualora si verificassero «i rischi al ribasso» sulla crescita. Un linguaggio da «colomba», ma ribassista, mentre l’inflazione è calata all’1,7%, ed è prevista rimanere sotto il 2%.
Sulle Borse ha però pesato il giudizio negativo sulla crescita: Milano ha perso lo 0,3%, Francoforte lo 0,73%, Parigi lo 0,77%, Londra l’1,19%, mentre l’euro ha chiuso a 1,2876 dollari e lo spread fra Btp e Bund ha chiuso a 332 punti base.
Non meno importante, è stato il segnale lanciato da Draghi sull’allargamento a «particolari provvedimenti non standard» allo studio dell’Eurotower, per sostenere l’economia reale e le aziende medie e piccole che non hanno accesso al credito. Per questo la Bce è pronta a cogliere «a 360 gradi», pur rimanendo nel quadro del suo mandato, iniziative attuate da altri Paesi. Mentre il Giappone e gli Stati Uniti adottano misure più espansive, la Banca d’Inghilterra acquista dalle banche titoli delle aziende. Ed è vista da alcuni operatori come un modello anche per la Bce, che ha già un programma analogo, che va molto bene in alcuni Paesi ma non in altri. E per questo ne studia uno nuovo.
Tornando sulla crisi cipriota, Draghi ha ribadito che «non è un punto di svolta e non è un modello per le politiche dell’eurozona. E abbiamo più volte sottolineato la nostra determinazione a difendere l’euro». Inoltre, ha proseguito, «dobbiamo essere in grado di chiudere delle banche insolventi senza usare i soldi dei contribuenti e senza problemi per il sistema dei pagamenti». Per questo, ha concluso, «è necessario un meccanismo di risoluzione» delle crisi bancarie.
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